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I vini del futuro secondo Helmuth Köcher in attesa del Merano WineFestival 2018 Pubblicato il 30 Luglio 2018 | 18:31 ll WineHunter Helmuth Köcher è intervenuto a Bucarest al convegno Ro-Wein International Wine Festival, dove ha tenuto una masterclass dedicata al futuro del vino. Qui ha presentato alcuni paradigmatici vini italiani. Vini che possono essere considerati una prima linea guida. Köcher, patron del Merano WineFestival (9-13 novembre), li ha selezionati ritenendo possano diventare un riferimento per la viticoltura del futuro.  Partendo dal Veneto, lo spumante rosè metodo charmat Violette di Conte Collalto. Un vino che nasce da un vitigno molto resistente costituito da Raboso del Piave e Moscato d’Amburgo, l’incrocio Manzoni Moscato 13.0.25. Secondo il parere del WineHunter si tratta di un vitigno che potrebbe diventare un importante riferimento per il futuro, soprattutto nella versione spumantistica. Da un vino veneto a uno altoatesino, lo spumante metodo classico Sauvignon Gris Lieselehof Brut, nato da un vitigno creato in Germania nel 1983 incrociando Cabernet Sauvignon e Bronner. Questo prodotto risulta particolarmente interessante per il futuro in quanto realizzato da una varietà Piwi, ovvero resistente alle malattie fungine; un processo sperimentato in vigna per oltre cinquant’anni che oggi presenta esempi sorprendenti quali il Bronner appunto. La scelta del WineHunter è andata poi al Monte Carbonare 2015 di Suavia, un 100% di uve Garganega che cresce su un terreno puramente vulcanico. Ne risulta un vino bianco di grande personalità, schietto e verace, dalla mineralità tagliente.  Costa d’Amalfi. Riflettori puntati su un rosso delle Cantine Marisa Cuomo, il Furore Rosso, risultato dall’unione delle uve di Piedirosso e di Aglianico, le cui piante hanno mediamente ottant’anni di età. Un vino espressione di quella che viene definita “viticoltura eroica”, un’attività fatta di grande fatica che produce un risultato inconfondibile e un’impronta profonda.  Infine, un vino dolce di provenienza piemontese, il Lamoscata di Mongioia, un moscato d’Asti che nasce da un antico vitigno di origine mediterranea diffusosi ampiamente per il particolare gusto dolce ottenuto dall’appassimento delle sue uve. La vinificazione in questo caso avviene in anfora e il risultato è stato giudicato da Helmuth Köcher sorprendente e convincente in vista del futuro. È ormai un dato di fatto che l’aumento della temperatura è una delle condizioni che entro il 2050 caratterizzerà maggiormente il futuro della viticoltura. Con riferimento ad uno studio di Lee Hanna, climatologa di fama mondiale, pare che entro questa data il sud Italia possa subire fenomeni di desertificazione, mentre in altre aree si stabilisca un clima subtropicale, con uno spostamento a nord delle aree adatte alla viticoltura e una scomparsa che va dal 25 al 73% delle storiche zone vitivinicole. Ecco quindi che diventa fondamentale anticipare i tempi prima che sia troppo tardi, scegliendo vitigni più resistenti e riducendone la densità d’impianto.  Anche lo spostamento della produzione verso altitudini maggiori e il mantenimento più naturale possibile del terreno, investendo sulla coltivazione della biodiversità, sono soluzioni che possono contribuire a creare un ecosistema complesso che punti a una produzione di qualità.  Diventa necessario dunque puntare sulle varietà autoctone e ricorrere a pratiche antiche come la cimatura tardiva o ricorrere al portainnesto per superare gli stress cui la pianta è sottoposta. Ma il futuro del vino passa anche per un cambiamento che, oltre a conformarsi agli eventi naturali, deve tener conto delle aspettative dei consumatori, che negli ultimi dieci anni hanno visto un abbassamento dell’età media degli appassionati (da 45-60 anni a 30-45) e un notevole incremento dell’interesse da parte delle donne.

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