il Ristorante del futuro e le sue problematiche. Gambero rosso



Il ristorante del futuro e le urgenze della ristorazione. Un convegno di Modena

Il ristorante del futuro e le urgenze della ristorazione. Un convegno di Modena
La mission di un consorzio non può essere solo la tutela e la promozione di un territorio o di un brand, un’opera di mediazione per far convivere più anime di uno stesso comparto ed essere più forti in un determinato mercato: un consorzio di ristoranti deve anche saper ispirare momenti di confronto e scambio, nei quali sia possibile una crescita, e una visione a lungo termine. Da questo punto di vista l’obiettivo è già raggiunto dal Consorzio Modena a Tavola, promotore del convegno “Modelli futuri della ristorazione e dell’accoglienza turistica”, che ha rappresentato un momento di scambio di esperienze, di conoscenza, oltre che un dibattito rivolto a ristoratori, gourmet, comunicatori, blogger, giornalisti, produttori, e tutti coloro che hanno a cuore il tema dell’enogastronomia e che hanno aderito con interesse e curiosità.

I partecipanti al convegno

A moderare il convegno il direttore del canale tv TRC Ettore Tazzioli,che ha abilmente stimolato al confronto i quattro relatori: il dottorDavide Cassi, direttore del laboratorio di Fisica Gastronomica - Università di Parma; il dottor Luca Govoni, docente di Storia e Cultura della cucina italiana ad ALMA;Eugenio Signoroni, direttore Osterie d’Italia di Slow Food e Luca Bonacini, giornalista e gastronomo, a cui si sono uniti altri autorevoli contributi dal mondo della gastronomia.

I temi affrontati

Il punto di partenza è la situazione attuale estremamente favorevole per il settore e con un'enorme attenzione mediatica: i cuochi parlano ex cathedra, le scuole alberghiere rifiutano alunni per eccesso di iscrizioni, e le nuove figure come food blogger e music sommelier che si fanno largo, mentre, in cucina, si attraversa una fase di profonda trasformazione che, rivoluzione dopo rivoluzione, porta a nuove identità gastronomiche.
Si ridefiniscono i comparti che per anni hanno caratterizzato il panorama ristorativo italiano, dominato dal duopolio trattoria-alta ristorazione, proliferano nuove tipologie di locali, con metodi di fruizione e proposte innovative, mentre in molti puntano al prodotto tipico. E la sala? Da anni si parla della mancanza di appeal della figura del cameriere e del maître sulle nuove generazioni. Nel tempo, le difficoltà sono diventate emergenza.
A questi temi gli addetti ai lavori coinvolti hanno cercato di dare risposta, dando vita a riflessioni e a un interessante dibattito sviluppato al termine degli interventi. Ecco cosa è emerso.

Eugenio Signoroni
“Qual è l'osteria di oggi?” ci domandiamo a volte io e Marco Bolasco. Poi ci rispondiamo che è quella che ha l'oste. Bisogna ricordarsi che le guide si fanno per offrire un servizio ai lettori, e raccontare non solo i prodotti ma anche le storie e gli osti che sanno narrarle. In un paese nel quale nell'arco di 10 chilometri la pasta viene chiusa in 10 modi diversi, le osterie si confermano luoghi fondamentali dove vige la democrazia del buono, in cui fare tornare i clienti. Perché al di là del prezzo contenuto, che non dev'essere la motivazione prima per entrare in un locale, nelle trattorie c’è una filiera che garantisce prodotti coltivati nel modo giusto.

Davide Cassi
Per riempire i ristoranti, il cliente va allettato, occorre coinvolgere gli indecisi, numerosi come quelli delle urne; per esempio frequento un ristorante dove il cibo da asporto costa il doppio rispetto a quello al tavolo, sono gli stessi piatti, ma il patron vuole che i clienti vivano l’esperienza del locale insieme a lui. È quasi una provocazione, certo, che da sola però non basta. La proposta della carta deve essere varia e accattivante, e bisogna che i clienti siano più consapevoli: guardatevi da quei ristoranti che aprono alle 19 ma anche da alcuni luoghi comuni che vanno sfatati, come il chilometro zero: è una filosofia fuorviante se presa alla lettera, il sale si produce forse nelle città? il baccalà viene dall'Adriatico?

Luca Govoni
Più forme di ristorazione devono convivere. Serve un'educazione al gusto, che parta dalla famiglia e dalle scuole. Sbagliato pensare che ci siano troppi istituti di formazione: ne servono altrettanti, così come nei ristoranti servono menu corretti che forniscano al cliente sempre maggiori informazioni. Occorre conoscere e padroneggiare il nostro inestimabile patrimonio di diversità, dobbiamo avere consapevolezza del nostro passato, e anche dei nostri ingredienti, persino i più scontati, come ad esempio il sale, che rappresenta la sapienza del dosare: la saliera in tavola è elemento di democrazia, strumento basilare nella storia, concede a chiunque con un tocco personale di completare il piatto a proprio piacimento.

Luca Bonacini
Se la capacità di accogliere e far star bene l’ospite è tra gli elementi che concorrono al successo di un locale, non si può prescindere da Giorgio Fini, il patron dell’omonimo ristorante modenese, che fu tra i fondatori del Consorzio Modena a Tavola, abilissimo nel tessere relazioni e nell’accogliere. Accoglienza che si conferma un ingrediente che, da solo, fa il 50% dell’esperienza, affidata a un reparto della ristorazione che oggi non sta vivendo momenti particolarmente esaltanti. È noto che le figure del cameriere e del maître sono poco valorizzate e risultano poco attrattive per le nuove generazioni, ma ci sono segnali positivi, si è costituita l’associazione Noi di Sala, ed è di questi giorni il lancio della Scuola di Sala di Giuseppe Palmieri che aprirà nel 2017.

Le voci degli altri addetti ai lavori

Lo svolgersi del convegno è stato anche arricchito da alcuni autorevoli esponenti del mondo della gastronomia, che pur non potendo essere presenti hanno voluto dare il loro apporto, in particolare sull’accoglienza e la Sala, considerate evidentemente di particolare interesse. Arrigo Cipriani, il patron di Harry’s Bar di Venezia; Alessandro Tomberli, direttore dell'Enoteca Pinchiorri di Firenze; Licia Granello, food editor di Repubblica che dal 2004 firma la doppia pagina domenicale “I Sapori”; Andrea Grignaffini, direttore Spirito Divino e, da poco, della Guida Vini dell’Espresso; Alessandra Meldolesi, giornalista gastronomica.


Arrigo Cipriani
Harry’s Bar, Venezia

L’accoglienza può essere riassunta nella semplicità complessa. Quella semplicità che prende vita da un gran numero di dettagli in grado di trasformare un oggetto o anche un ristorante in un elemento di lusso. E un oggetto o un ristorante è di lusso se ha un’anima. L’anima ha a che fare principalmente con la libertà che si ottiene attraverso la mancanza di qualsiasi imposizione.

Alessandro Tomberli
Enoteca Pinchiorri, Firenze

La ristorazione cambia in base al periodo storico, alle mode, alle tecnologie, alle guide. Ai commenti dei media, alla mania di fare classifiche, alla televisione, ai gusti e ai costumi della gente. Ma per chi lavora per la qualità, e di questa fa la sua missione, i cambiamenti sono come il vento per gli alberi: le fronde si piegano, ma le radici sono ben salde, e quando si calma il vento anche le fronde tornano al loro posto. Nei grandi ristoranti si alzano le aspettative, il livello di qualità ed eccellenza non ammette errori e, soprattutto, non esiste la seconda possibilità. È per questo che dobbiamo avere un personale attento alle sfumature, ai particolari, che possa dare sempre qualcosa di “inaspettato” perché il cliente, il massimo, se lo aspetta ancor prima di entrare.

Andrea Grignaffini
Guida Vini dell’Espresso e Spirito di Vino

Il compito di accogliere talvolta è slittato su altre figure, spesso e volentieri in mano a un collaboratore, un professionista che potrebbe non avere il dono dell’empatia, è questa qualità il grande discrimine. La parte che non riguarda strettamente la cucina, si mantiene sempre un elemento assolutamente fondamentale: è quella che comunica e, alla fine, vende il lavoro di una intera équipe. Cosa migliorerei? L’eccessiva leziosità di certo personale di sala, che spesso è riconducibile a un non corretto breefing da parte del cuoco o del patron, che riflette anche la poca abitudine a frequentare i grandi locali da cliente. Un consiglio? Fate di più i clienti.

Licia Granello
Food editor di Repubblica e docente di Antropologia dell’Alimentazione

Dalla cucina può uscire il piatto più buono del mondo, ma se il personale di sala non lo sa raccontare e servire, non lo sa valorizzare, presentare, trasmettere, quel piatto non sarà mai un grande piatto. Non per niente a El Bulli, dove erano aperti solo di sera e avevano un numero equivalente di personale nei due reparti, 40 in cucina e 40 in sala, erano previste due riunioni al giorno, una al mattino per commentare quello che era successo la sera prima, e l’altra prima del servizio. È un'urgenza della ristorazione, non si può ignorare, va preso atto che senza quella interazione un ristorante non può dare il meglio di sé. Chi è in sala deve essere dotato di una spiccata sensibilità, occorre capire la carta, ed è fondamentale assaggiare i piatti.


Alessandra Meldolesi
Giornalista gastronomica

A dispetto della crisi delle vocazioni, si assiste a una nuova centralità della sala, favorita da tecniche che prevedono scenografiche finiture in una sorta di guéridon del terzo millennio, e soprattutto dalla moda della mixology, con i cocktail abbinati ai piatti. Occasioni ghiotte per restituire appeal a un lavoro che non attrae più i giovani. Che posto occupa la sala? La proporzione è variabile secondo il tipo di ristorazione. Per esempio i ristoranti dei giovani di solito hanno una sala molto debole, ma un sommelier che sa scegliere i giusti abbinamenti può rappresentare il 50% del pasto. Penso a una figura come Sokol Ndreko del Lux Lucis, un ristorante dove il bicchiere è parte del piatto.

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