La carta dei vini: quattro (umili) consigli ai ristoratori

La carta dei vini: quattro (umili) consigli ai ristoratori

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Doveroso incipit a questo mio sfogo, è parlare dell’umiltà.
Scrivere per dare consigli è già un fardello pesante per chi ha davvero peso, misura e competenza. Lo è quindi tanto più per chi, come me, non è che un cliente come tanti. Eppure ho difficoltà a reprimere questo mio slancio, perché, da frequentatore seppur saltuario di osterie (o ostarie per i nostalgici), ristoranti e trattorie, mi piacerebbe ritrovare in sala la stessa professionalità pretesa a fine pasto e stampata su ricevuta fiscale.
Non sarà sfuggito al lettore più attento, il pathos quasi drammatico che mi accompagna nell’affrontare questo annoso tema.
In quest’ottica quindi vorrei dare quattro brevi indicazioni al ristoratore moderno, quale che sia il livello di offerta, perché esse rimangono valide sia per l’osteria a gestione familiare che per il ristoratore stellato, anche se quest’ultimo, in effetti, tende giocoforza ad essere più accorto.
Dopo quest’introduzione doverosa entriamo finalmente in medias res con i quattro punti che mi frullano in testa troppo spesso:
1. La carta dei vini non è l’album dei ricordi
Quel foglio che chiude il menù o che vive insieme ad altri fogli in un suo raccoglitore dedicato non serve a elencare tutti i vini che si sono alternati in cantina negli anni.
Serve a proporre ai clienti le bottiglie disponibili. Disponibili.
2. Lo spumante è vino e si accompagna a tutto pasto
Il Prosecco non basta. E non basta nemmeno aggiungere una nota etichetta di costosissimo Champagne. Ormai il metodo classico lo si produce dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, con eccellente rapporto qualità prezzo: vogliamo rendere frizzante questa lista dei vini?
3. Breve storia triste: il vino della casa.
Prima domanda: della casa di chi? “Rosso della casa”, fidatevi, non vuol dire niente. Tra tappi sotto vuoto, Coravin e compagnia cantante anche avere 3 o 4 bottiglie per la mescita non è così difficile. Alcuni ristoratori mi hanno risposto, ma poi se non lo vendo? Ma se non lo proponi e lasci “vino della casa”, ci credo che non lo vendi! E scusate l’esclamazione.
4. Il vino è pieno di storie, facciamolo parlare
Il vino parla e ha tanto da dire: territori, produttori, evoluzioni, cantine, millesimi, c’è un mondo da raccontare, un mondo affascinante che rappresenta il vero valore aggiunto di questo meraviglioso prodotto. Vendere vino, come vendere cibo, equivale a proporre un’esperienza, e l’esperienza passa per la comunicazione, per il racconto. Gli anglofoni e la gente del marketing lo chiamano “storytelling”.
Imparare qualcosa sulle etichette, raccontare il perché e il percome sono finite sulla lista può regalare, a chi consuma, un pasto molto più interessante e diventare, per il ristoratore, un vero motore di vendita.
Senza voler per forza arrivare al corso da Sommelier di cui parlavo nell’ultimo post, mi sento di dire che una buona introduzione al mondo del vino, o la consulenza di un operatore preparato, può trasformare profondamente e in meglio l’offerta di ristorazione.
Conto di essere stato sufficientemente umile e chiudo quindi citando Giulio Andreotti che, da uomo navigato, ci ricorda:
“L’umiltà è una virtù stupenda, a patto che non la si eserciti nella dichiarazione dei redditi.”

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