Educazione alimentare tecnologie e sapori artefatti






Della fisica e della chimica ovvero Delle tecniche per ottenere i sapori.
L'utilizzo del fuoco per cucinare gli alimenti è un'operazione che distingue l'uomo dagli animali. L'uomo, a differenza del resto del creato, cucina e non si limita a raccogliere ciò che esiste in natura. Il fuoco (e, per estensione, tutte le altre tecniche di preparazione degli alimenti) rappresenta il primo passaggio 'culturale' nel processo che rende il cibo stesso un fattore 'culturale'. 
Ma, anzitutto, l'azione del fuoco sulle materie prime ha anche a che fare con leggi fisiche e con la chimica. La materia si trasforma per diventare commestibile, conservabile, trasportabile, il più piacevole possibile. Il fuoco, per restare all'esempio, cuoce, sviluppa il fumo per l'affumicatura, permette di sterilizzare generando temperature elevate. Le leggi che governano questi processi, sconosciute per secoli, sono state dimostrate semplicemente grazie all'empirismo culinario, ma con i progressi delle scienze ecco che si è iniziato a dare spazio alle invenzioni. 
Con l'industrializzazione sono cambiati i bisogni alimentari di chi lavorava in fabbrica e aveva poco tempo per cucinare (l'orario di lavoro era molto più lungo allora, e oggi ci lamentiamo che non c'è tempo per prepararsi da mangiare!) Allo stesso tempo con l'industrializzazione si è sviluppata anche l'industria alimentare, che proprio sull'impiego della chimica fonda le sue capacità di produrre qualsiasi cosa commestibile in serie, inscatolata, quasi sempre pressoché pronta all'uso. La combinazione delle nuove esigenze e delle nuove scoperte nel campo della tecnologia alimentare ha permesso l'enorme sviluppo dell'industria che produce cibo, ma l'uso della chimica si è poi spesso rivelato troppo disinvolto, generando scandali alimentari, nuove malattie, impoverimento della nostra dieta per quanto riguarda elementi nutritivi e gusto. 
Il periodo d'oro della chimica applicata al settore alimentare risale alla seconda metà dell'Ottocento: Julius Maggi con le sue minestre in polvere e il dado per il brodo; Justus von Liebig (lo stesso che inventò i fertilizzanti chimici) con l'estratto di carne; Hippolyte Mège-Mouriès e la margarina; CarI Knorr e altre minestre in polvere; Rudolph Oeteker con il suo lievito; Wilhelm Haarmann che inventò la vanillina; Francesco Cirio in Italia che iniziò a produrre le sue conserve a Torino, in un piccolo laboratorio in piazza della Repubblica (dove ancora oggi una lapide mal conservata lo ricorda). 
Nello stesso periodo, tra l'altro si inventarono la Coca-Cola, la gomma da masticare e l'ananas in scatola. Chissà quanti di questi precursori erano realmente consapevoli della portata rivoluzionaria delle loro scoperte: il fatto è che diedero il via alla produzione industriale di cibo in vere e proprie catene di montaggio, il perfetto compendio che preludeva alla successiva industrializzazione delle tecniche agricole. 
L'odierno comparto dell'industria alimentare non ha bisogno di presentazioni, è sotto gli occhi di tutti: sforna ogni sorta di genere commestibile, ripropone addirittura piatti della tradizione e fa viaggiare le culture del cibo, almeno nelle loro manifestazioni più ovvie. Al supermercato si possono acquistare una pizza surgelata, le salse messicane e i preparati per i burritos, un cacciucco o una paella precotti da scaldare in padella, zuppe, brodi e minestre di ogni parte del mondo. Ma ci sono anche i prodotti 'inventati': gli snack al cioccolato, le chips, le sottilette. Queste creazioni dell'industria ne sono diventate in qualche modo la rappresentazione, i marchi sulle confezioni variopinte sono più importanti del contenuto e i prodotti sono difficilmente riconducibili, per vista, olfatto e gusto, a qualcosa di esistente in natura. 
Ciò che è avvenuto, anche se nato in origine come risposta ad un bisogno sociale delle famiglie impegnate in fabbrica (ma rivelatosi presto un ottimo modo per far soldi), in realtà ha sovvertito completamente le regole della trasformazione alimentare e ha operato in maniera cosi innaturale da rendere necessaria l'invenzione di elementi che consentissero alle materie prime trattate in modo cosi violento (disidratate, liofilizzate, surgelate ... ) di riacquistare una qualche parvenza di naturalità e qualcosa che ricordasse il sapore originario. Non c'è niente in natura che assomigli ai nugget di pollo che si servono nei fastfood. Non è possibile associarli all'animale, la loro forma è del tutto artificiale e la materia prima che li compone ha un gusto difficilmente riconducibile al pollo, sia per la scelta della carne - scarti di lavorazione e parti poco nobili - di animali allevati in maniera ultraintensiva, sia per le lavorazioni che subisce: una catena di montaggio dove si trita, si sterilizza, si aggiungono addensanti, emulsionanti, stabilizzanti, si 'termizza' e si 'abbatte' per surgelare. Ecco allora che interviene la chimica, che può 'ricostruire' dal nulla, creare un gusto, un profumo, una consistenza. L'industria degli aromi 'artificiali e naturali' e dei vari additivi che troviamo elencati nelle liste degli ingredienti è allo stesso tempo molto fiorente e fantomatica. Una delle rare descrizioni l'ha data Eric Schlosser in Fast Food Nation: 
“Lo stabilimento della IFF (International Flavors & Fragrances) di Dayton è un'enorme costruzione azzurro pallido con un moderno complesso di uffici sul davanti [ ... ] Nei corridoi aleggiavano odori meravigliosi [ ... ] e sui tavoli e scaffali da laboratorio c'erano centinaia di flaconcini di vetro [ ... ] I lunghi nomi scritti sulle piccole etichette bianche mi erano incomprensibili, neanche fossero in latino medievale. Erano strani nomi di cose che sarebbero state mescolate, versate e trasformate in sostanze nuove, come pozioni magiche [ ... ] il laboratorio snack e prodotti da forno salati è responsabile del sapore di patatine, sfogliatine di mais, pane confezionato, crackers, cereali per la prima colazione e cibo per animali domestici. Il laboratorio dolciario crea il sapore di gelati, biscotti, caramelle, dentifrici, colluttori e antiacidi [ ... ] Oltre a essere l'azienda produttrice di aromi più grande al mondo la IFF produce l'odore di quattro tra i profumi piu venduti negli Stati Uniti: Beautiful di Estée Lauder, Happy di Clinique, Polo di Ralph Lauren ed Eternity di Calvin Klein [ ... ]. Tutti gli aromi sono fatti con lo stesso procedimento base: la manipolazione di sostanze chimiche volatili allo scopo di creare un odore particolare”
L'uomo è riuscito a separare il sapore dal prodotto, consentendosi cosi di ricombinarlo a suo uso e consumo. Il processo industriale di produzione del cibo non rispetta in nessun modo la materia prima e le sue caratteristiche originarie, perché è in grado di ricostruirne in laboratorio la consistenza, l'aspetto e il gusto. Le etichette dei cibi diventano cosi incomprensibili. Ecco che cosa compone il gusto di albicocca per gelati: acetato di eptile, acetato di santalile, alcool fenilpropilico, fenilacetato di amile, feniletil-dimetilcarbinolo, formiato di benzile, isobutirrato di geranile, isobutirrato di metile, propinato di butile, propinato di eptile. 
Questi composti sono spesso celati sotto la dicitura aromi naturali o artificiali. Il fatto che alcuni di questi aromi siano definiti naturali, non significa che lo siano per davvero. VuoI soltanto dire che sono ottenuti a partire da una base naturale. Il come sono estratti, con procedimenti chimici più o meno sofisticati e non sempre del tutto salutari per l'uomo non conta: per la legge sono «naturali». «Se l'aroma di mandorla (benzaldeide) viene ricavato da fonti naturali, come noccioli di pesca o di albicocca, contiene tracce di acido cianidrico, un veleno mortale». 
Oggi gli studi sugli effetti degli aromi e degli altri prodotti chimici hanno cominciato a rischiarare quello che pareva un cielo buio e impenetrabile; ingerire questi prodotti, anche se in microscopiche quantità ma in modo continuativo per tutta la vita, ci sottopone a un'altra forma di inquinamento i cui effetti rimangono ancora non del tutto chiariti. Si parla di aumento delle allergie, piccoli, grandi e grandissimi avvelenamenti, anche se di rado mortali, di sostanze cancerogene scoperte dopo anni che venivano consumate tranquillamente e senza limiti (come la sostanza denominata Sudan I). Quel che è certo è che questi composti rischiano di assuefare il senso del gusto; alzano la soglia di percezione dei nostri sensi facendoci sembrare i prodotti naturali poveri dal punto di vista organolettico e omologano i sapori privandoci della gioia di assaggiare la diversità naturale, varia, ricca e molto gratificante per il palato. A livello culturale poi, gli additivi nel piatto hanno trasformato il sapore in uno strumento di marketing, tanto che si può parlare di vero e proprio 'design alimentare', che costruisce il gusto di un prodotto e il prodotto stesso a partire dalle ricerche di mercato, vi adatta un processo produttivo industriale e poi sceglie la materia prima che più conviene economicamente. In pratica si ribalta il processo secondo cui l'uomo per nutrirsi parte da ciò che trova in natura e cerca di migliorarne il sapore. Qui si parte dal sapore che si vuole ottenere, il resto è relativo. 
La chimica e la fisica fanno parte della moderna scienza gastronomica perché ci potrebbero consentire di restituire il suo posto al gusto, che è inscindibilmente legato alla materia prima, elemento di indiscutibile centralità. Possono servire a gestire in maniera sostenibile la produzione industriale del cibo, e a fare si che non si producano cose dannose alla salute, smascherando chi esagera con il 'design alimentare'. Servono a raccontare quello che accade durante la trasformazione da pollo a nugget per esempio: che cosa c'è realmente in quello che mangiamo, per non perpetrare oltre quello che, fino a oggi e per più di un secolo, si è configurato come un vero inganno verso i consumatori. 
Come i progressi in queste due scienze hanno consentito all'uomo di realizzare il miracolo di scomporre e ricreare a suo piacimento un prodotto alimentare, cosi essi possono servire per restituirgli la naturalità, il gusto originale, per studiare le tecniche tradizionali di conservazione e trasformazione, per dare loro la giusta dignità e, se possibile, per perfezionarle al massimo. Il tutto senza stravolgerle per produrre in serie grandi quantità, senza rubarle alle comunità produttive originarie per brevettarle, oppure sforzandosi di replicarli in maniera artificiale con tutti i rischi che ciò comporta. 
Se la chimica saprà rimettersi al servizio della gastronomia - come quando le trasformazioni degli alimenti avvenivano in modo più inconsapevole dal punto di vista scientifico e l'empirico legava indissolubilmente la preparazione del cibo alla sua naturalità - avremo una garanzia di salute, conoscenza e gusto. 

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