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Carne bovina, alimento culturale

 


Carne bovina, alimento culturale


    Carne bovina, alimento culturale

    Carne bovina, nutrimento della psiche

    Alla carne, in particolare a quella dei ruminanti, e tra questi primi i bovini, la nostra cultura ha chiesto il nutrimento del corpo ma anche della psiche, come dimostrano molti fatti iniziando dalle parole che si riferiscono ai bovini.

    Alfa, Aleph, il toro. Cominciamo dall’inizio, dall’alfa che apre il nostro alfabeto, diffuso oggi a tutto il mondo. Aleph era il toro, la cui testa è rappresentata nella lettera A, che i fenici scrivono rovesciata: la testa triangolare dell’animale con due corna agli angoli superiori, corna che oggi sono divenute le gambe della lettera A. Primo è il toro e solo seconda la casa, beta, rappresentata con due camerette, l’attuale B. Questo a significare la preminenza del bestiame, con la sua testa i capita, da cui cui viene la parola capitale, ricchezza, e solo seconda la casa.

    Europa e (v)Italia. Il toro ha il suo culto nell’antica Creta con Minosse, e con i tori volteggiano le fanciulle in giochi sacri. Il bue Api è adorato come divinità nell’antico Egitto ed un toro trasporta Europa sul continente, dando avvio allo sviluppo civile delle terre settentrionali del Mediterraneo. L’area sacrale che circonda il toro non ne esclude l’uccisione, che tuttavia è di tipo sacro, quindi un sacrificio. Il mito di tori e bovini è ben presente nell’antica Grecia, come ci ricordano le vacche sacre al dio sole incontrate da Odisseo ed uccise dai suoi compagni. Gli stessi greci, spostandosi verso occidente, incontrano la terra che denominarono terra dei vitelli o (v)italia.

    Roma. Anche se si è favoleggiato che Roma sia l’opposto di Amor, tutto fa credere che questo toponimo derivi da ruma, mammella, come testimonia anche l’esistenza del ficus ruminalis. Un toponimo, ruma o Roma, passato ad indicare una vasta classe d’animali, i ruminanti, dei quali il bovino fin dai tempi romani è il prototipo più significativo e che accanto agli ovini ed al maiale entra nel grande sacrificio suovetaurilia.

    Bre/Bront. Precedentemente all’arrivo dei greci in (v)Italia ed al sorgere di Ruma – Roma, le popolazioni italiche antiche, partecipi di una famiglia di lingue europee di cui l’ultima sembra essere stato l’etrusco, indicano i grandi ruminanti con il termine bre, plurale bront. Un termine rimasto in molti toponimi e molto probabilmente usato anche dai cacciatori che nel neolitico e nell’età del rame e del ferro percorrono l’Italia.

    Carne di ruminanti nella dieta di Ötzi

    Nell’alimentazione italiana la carne dei bovini domestici ha sostituito quella dei grandi ruminanti selvatici: cervi, daini, caprioli, stambecchi. La sostituzione del selvatico con il domestico non modifica la naturale ed antichissima carnivorità della nostra specie come confermano molte ricerche, l’ultima delle quali, in ordine di tempo, riguarda il menu di Ötzi, l’uomo di Similaun. Carni di cervo rosso e di capra selvatica (capriolo) con contorno o in una zuppa di cereali: questo è il menù degli ultimi due pasti consumati cinquemila anni fa sulle Alpi dal cacciatore e forse sciamano Ötzi, come risulta dalle ricerche di Franco Rollo dell’Università di Camerino.

    Ötzi è il nome familiare attribuito all’uomo di Similaun, la mummia preistorica rimasta sepolta per cinquanta secoli nei ghiacci delle Alpi orientali, nella conca del Similaun, dove è stata ritrovata nel 1991. Le lunghe, dettagliate, complesse e sofisticate indagini compiute sulla mummia ci hanno permesso di ricostruire, con una precisione scientifica impressionante, il citato menù degli ultimi due pasti di questo nostro antenato, portando un’ulteriore conferma dell’alimentazione carnivora della nostra specie.

    Ötzi ha iniziato il suo viaggio da territori bassi della pianura o di fondovalle alpini, dove ha fatto provvista di cereali. Non sappiamo verso quale meta fosse diretto, con quale scopo e neppure dove si sia procurato la carne di cervo e di capriolo, anche se l’attrezzatura di cui è equipaggiato fa supporre che siano il frutto di una caccia fortunata ma anche, forse, infausta. Dalle tracce trovate (soprattutto i pollini) sappiamo che a quote relativamente basse ha attraversato una foresta di pini, dove si è fermato a mangiare. Poi si è spostato più in alto, oltre i tremila metri, dove ha mangiato di nuovo, ed è stato qui che ha incontrato una banda di cacciatori rivali che, forse per depredarlo della preziosa carne – è solo una supposizione – lo hanno ucciso, abbandonandolo ferito fino a quando, morente, è scivolato nel ghiacciaio che lo conserva fino a giorni nostri. La dieta di Ötzi è coerente a quella dell’uomo paleolitico e neolitico, soprattutto della nostra specie di Cro-Magnon. Una dieta ricca di carne (da mezzo ad un chilogrammo il giorno), accompagnata da qualche etto di vegetali selvatici o di primitive coltivazioni, ricchi di fibra alimentare.

    Per certo Ötzi ha un linguaggio evoluto, ma non sappiamo quale, anche se recentemente sono state rintracciate le radici d’alcune parole da lui probabilmente usate. Tra queste parole vi è la radice del termine che identificava il cervo rosso, la cui carne fu forse causa della sua sventura. La stessa radice serve anche per designare i territori dove la grande selvaggina rossa, cervi e caprioli, sono abbondanti. Con ogni probabilità, la radice delle parole usate da Ötzi è bre (plurale bront). Questo termine ancor oggi serve per identificare la (b)renna e la carne salata di ruminante (bresaola da bre-sal) e soprattutto è ancora presente in molti toponimi alpini dove i cervi erano e stanno ritornando abbondanti: Brennero, Bressanone, Brenta, Brentonico e giù giù fino a Brescia per arrivare a Brindisi (città della cerva).

    Molto probabilmente Ötzi, in territori ricchi di cervi e che ancora oggi ne conservano traccia con i citati toponimi, insegue il cervo con il grido bre! bre! (bront! bront! se gli animali erano molti) e con lo stesso termine bre, a caccia terminata, attorno al fuoco racconta ai compagni ed alle donne le sue imprese, e usando i termini di bre e bront indica i territori di caccia ricchi di cervi e forse d’altra selvaggina di grande taglia e dal pelame e dalla carne rossa.

    Ötzi non è un gastronomo quale oggi s’intende, ma come sciamano può diventarlo. Comunque, ancor oggi, un buon piatto di carne di cervo o di capriolo (capra selvatica) accompagnato da cereali (knödel o canederli) è un pasto d’alto valore gastronomico.

    Carne bovina, carne dei forti

    In francese viande è carne, un termine che ci ricorda che è vita e dà vita. Togliere dalla dieta la carne è stato, per lunghissimi tempi, una punizione laica od una mortificazione religiosa.

    Carlo Magno, additato come uomo parco dal suo biografo, il monaco Alcuino, ha un menù giornaliero con soli quattro piatti di carne, senza contare però gli arrosti che continuamente girano davanti al fuoco del camino. Anche da vecchio, Carlo Magno non si adatta ad una dieta con carne bollita, prescritta dai medici, e fino all’ultimo rimane fedele ai suoi amati arrosti.

    nobili e i potenti medievali prediligono le carni della selvaggina rossa, costituita dai grandi ruminanti, pur non disdegnando la selvaggina minuta (lepri, fagiani e pernici), mentre la selvaggina nera (il cinghiale) è spesso lasciato al resto della popolazione, come tutti gli animali di bassa corte. Di minor pregio sono le carni dei bovini destinati soprattutto al duro lavoro dei campi e dei trasporti pesanti, ma fanno eccezione i non frequenti vitelli e buoi grassi.

    Carne ed evoluzione culturale umana

    Numerosi ricercatori hanno esaminato la carne della nostra alimentazione da un punto di vista evoluzionista mettendo in evidenza che le popolazioni di cacciatori e raccoglitori hanno elevati consumi d’alimenti di origine animale che coprono dal 45 al 65% dell’energia. La maggioranza delle popolazioni (73%), ricava più della metà dell’energia alimentare (56 – 65 %) dagli animali. Considerando che i vegetali selvatici sono scarsi di carboidrati e ricchi di proteine, nelle popolazioni studiate le proteine sono in predominanza (19 – 35 % dell’energia alimentare) rispetto ai carboidrati semplici e complessi (22 – 40% dell’energia).

    Carne bisogno culturale

    L’alimentazione umana ha due componenti, quella biologica e quella culturale. Se la biologia indica che la carne è estremamente utile per una corretta ed equilibrata alimentazione, l’antropologia dimostra che l’uomo ha un bisogno culturale di carne.

    Il bisogno culturale di carne nelle diverse società si manifesta con regole che comprendono divieti, permissioni e modi d’uso (cucina), capaci di soddisfare anche l’ineliminabile ricerca di diversità alimentare, caratteristica dell’uomo. Una diversità che, ad esempio, riguarda anche il continuo successo delle trasformazioni che la carne ha con la sua conservazione e con la cucina e che soddisfano le richieste biologiche, ma soprattutto culturali, umane in modo particolare per quanto concerne la voglia di tradizione, la biodiversità gastronomica e la sempre più richiesta facilitazione nella preparazione dei cibi.

    Carne bovina buona da mangiare

    Secondo l’antropologo Marvin Harris (1985) la carne, in tutte le sue amplissime diversificazioni, è “buona da mangiare”. Lo stesso autore afferma che minoritaria è la popolazione che volontariamente s’astiene dalla carne per lunghi periodi, ma non è facile sapere quanti siano nel mondo i vegetariani e i vegani. Secondo alcuni studi rappresenterebbero il 20% della popolazione mondiale e in Italia dal 7 all’8% della popolazione.

    Ogni cultura ha la sua carne o le sue carni, ma non bisogna dimenticare che per la nostra specie, e quelle che l’hanno preceduta, la carne per eccellenza è quella degli animali selvatici, che ha la caratteristica d’essere molto magra. Ad esempio ancor oggi la carne di cervo e daino ha un contenuto di 0,8 – 1,2% di grassi e quando questa carne è cotta a fuoco vivo ne perde una parte. I grassi sono associati alla carne soltanto quando l’uomo diviene sedentario ed utilizzando i tegami inventa intingoli vari.

    Nel soddisfacimento della fame di carne, ad esempio nella nostra cultura, un ruolo importante ha la carne bovina. Anzi il bovino, assieme ad altri grandi ruminanti, in molte culture è in testa alle specie animali che l’uomo ha desiderato e desidera mangiare. Lo testimonia il già citato fatto che il simbolo della sua testa è stato scelto per identificare la prima lettera dell’alfabeto: aleph (da cui alfa) il termine che identificava l’animale.

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