NOVEL FOOD

 



Carne in provetta e Novel Food: e la cultura alimentare?


Siamo sicuri che i “Novel Food”, di cui fanno parte insetti o carne in provetta coltivata in laboratorio, possano avere un impatto ambientale, economico e sociale ridotto o positivo rispetto alle produzioni tipiche con legami anche millenari con le comunità e i territori da cui provengono?

Prima fu il momento degli insetti nel piatto, che promettevano di sfamare un mondo sempre più densamente popolato, ma che forse starebbero meglio in mangiatoia. Se n’è parlato molto sui media, ma l’argomento è stato presto archiviato fra le curiosità. Poi è stato il momento della carne non carne, salutata con entusiasmo e della quale ancora si parla, sebbene a fasi alterne e con un pizzico di confusione. Perché questa partita è giocata su due fronti e su qualche equivoco. Da una parte varie fonti vegetali “assemblate con leganti e aromi e iperprocessate per farle assomigliare alla carne, dall’altra cellule animali moltiplicate in laboratorio su substrati complessi, dove figurano anche sostanze non sempre salutari.

Mentre prodotti vegetali che imitano la carne già si trovano in commercio, degli altri non v’è ancora traccia. Il perché è presto spiegato. Sia gli alimenti basati sull’impiego di insetti sia le cellule animali moltiplicate in laboratorio, rientrano nel grande capitolo dei “novel food”, cibi che non appartengono alla cultura alimentare di una popolazione.

Sia gli #alimenti basati su #insetti sia le #CelluleAnimali moltiplicate in #laboratorio, rientrano fra i #NovelFood, #cibi che non appartengono alla #CulturaAlimentare di un popolo.

Se per gli insetti ci si può rifare alle abitudini e alle esperienze di alcune civiltà a noi distanti, per la carne in provetta si tratta di un mondo ancora tutto da esplorare e come tale non privo di insidie. Che sembrano non mancare se si dà un’occhiata alla documentazione del “Good Food Institute”, dove nel descrivere i componenti della matrice di moltiplicazione di queste cellule annovera sostanze come il selenito di sodio, l’insulina, fattori di crescita dei fibroblasti (FGF-2), noti per il loro ruolo nella proliferazione e differenziazione di cellule e tessuti. E il pensiero corre, seppure impropriamente, ai meccanismi che presiedono lo sviluppo delle cellule tumorali.

Se per gli #insetti ci si può rifare alle abitudini di alcune #civiltà a noi distanti, per la #carne in #provetta si tratta di un mondo ancora tutto da esplorare e come tale non privo di insidi

Meglio allora prestare la massima attenzione, prima di dare il via libera a questi e agli altri alimenti “nuovi” e il legislatore europeo ha giustamente ritenuto opportuno ispirarsi a concetti di massima precauzione. Così, già nel 2015, ha emanato un regolamento (il 2283 del 25/11/2015, divenuto operativo il primo gennaio del 2018) sui “novel food”, comprendendo sotto questa dizione tutti i cibi assenti dal consumo umano dopo il 1997, data di un precedente regolamento su questa materia. Non solo singoli alimenti, insetti compresi, ma anche prodotti ottenuti da tecnologie emergenti nei processi di produzione alimentare.

Il regolamento comunitario precisa con puntigliosità cosa si intenda per “nuovo alimento” e cita espressamente “gli alimenti costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali, piante, microrganismi, funghi o alghe”. È proprio il caso dei tessuti proteici ottenuti in laboratorio, poi iperprocessati per dare loro le sembianze, la consistenza e il sapore della carne vera. Per giungere in tavola questi prodotti devono dunque passare il vaglio della Commissione europea che ne autorizza l’impiego, dopo le necessarie valutazioni di sicurezza. Solo dopo questo passaggio possono essere contemplati fra i “nuovi alimenti” ammessi al consumo.

I #NovelFood per il regolamento comunitario sono gli #alimenti costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali, piante, microrganismi, funghi o alghe.

Al momento, nemmeno gli insetti hanno avuto il via libera ad avvicinarsi alla nostra tavola. A breve è probabile siano autorizzati per l’alimentazione delle specie avicole, ma per il momento il loro impiego è limitato all’alimentazione dei pesci e degli animali da affezione. Occorre ancora tempo prima che sugli scaffali della grande distribuzione si possa trovare un supplì di mosche soldato (Hermetia illucens) o un timballo di grilli (Acheta domestica). Stessa cosa per le fibre muscolari (è improprio chiamarle carne) coltivate in laboratorio. Ma intanto, per fortuna, c’è di meglio. Anche sotto il profilo della sostenibilità.

È assai discutibile che sostituire la #carne con #ColtureCellulari possa comportare vantaggi sotto il profilo #ambientale.

È infatti assai discutibile che sostituire la carne con colture cellulari possa comportare vantaggi sotto il profilo ambientale. Senza chiamare in causa studi che hanno messo a confronto produzioni tradizionali e biotecnologiche, dimostrando il minore impatto delle prime sulle seconde, ci sono da valutare altri aspetti sociali ed economici. L’allevamento è una forma di imprenditoria diffusa, possibile anche in zone marginali, senza sottostare ad alcun vincolo, se non quello delle norme sanitarie e ambientali.

Non altrettanto si può dire per un laboratorio biotech, ove si realizzano prodotti che devono rispettare vincoli di appartenenza, come brevetti e proprietà intellettuali. Gli inevitabili alti costi impongono poi una concentrazione dimensionale che allontana il rapporto fra territorio e produzione, fra tipicità e produzioni locali. Aprendo le porte a una omologazione dei gusti contraria allo spirito della dieta mediterranea e del made in Italy agroalimentare.


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