Quanto foraggio è corretto inserire in razione?
Quanto foraggio è corretto inserire in razione?
Diete con un’elevata presenza di foraggio sono note per apportare benefici per la salute della mandria ed essere poco costose; non sorprende quindi l’attenzione posta dagli allevatori e dagli alimentaristi sulla qualità dei foraggi.
Oggi non è raro trovare diete con il 55-70% di sostanza secca da foraggio, e questo è stato possibile grazie al miglioramento della genetica vegetale, ad una corretta gestione di campo, ma anche per la maggiore disponibilità di informazioni su come formulare diete ad alto contenuto di foraggio.
Quali i fattori guida
La quantità di foraggio che può essere somministrata ad una vacca da lattedipende da molti fattori, quali: interazioni tra peso corporeo e livello di ingestione, riempimento del rumine, velocità di transito, gravità specifica (galleggiabilità), contenuto di fibra neutro detersa (NDF), dimensione fisica della stessa, fragilità delle particelle, digeribilità e digeribilità potenziale della fibra (pdNDF) espressa come rapporto fra le frazioni digeribili e le frazioni indigeribili (iNDF).
Mertens (2010) ha mostrato come la quantità ottimale di fibra NDF da foraggi ingerita al giorno debba essere pari all’1,25% del peso corporeo per ottimizzare la produzione di latte corretta al 4% di grasso quando le fonti per energia e proteine sono farine di mais e soia.
L’equazione proposta da Oba e Allen (1999) sulla qualità del foraggio evidenzia come un aumento di un punto percentuale della digeribilità dell’NDF nella dieta possa tradursi in un’ingestione quotidiana di sostanza secca maggiore di circa 150 grammi ed in un relativo aumento giornaliero di 0.25 litri di latte al 4% di grasso.
Chase e Grant (2013) hanno elaborato raccomandazioni per gli allevamenti in cui si utilizzano razioni molto ricche in foraggi:
- Cercare foraggi con qualità eccellente. Il miglioramento della qualità ha un grande effetto sulla produzione di latte, specialmente all’aumentare delle quantità di foraggio in razione.
- Monitorare attentamente le scorte dei foraggi valutando in anticipo le necessità di approvvigionamento.
- Utilizzare i foraggi di alta qualità per i gruppi più produttivi.
- Analizzare i foraggi (comprese le caratteristiche fisiche e la loro digeribilità) per soddisfare le esigenze nutrizionali della stalla.
- Monitorare frequentemente le razioni per determinare eventuali correzioni.
- Gestire attentamente gli insilati per garantirne stabilità aerobica e appetibilità.
- Valutare la necessità di distribuire più miscelate al giorno per razioni voluminose e meno dense (kg/m3).
Sfide al laboratorio
Gli studi pubblicati indicano come i coefficienti di digeribilità della fibra in vivo(NDFD) possano variare fino al 30-35 % tra leguminose, graminacee e insilati di mais, e come i tassi di digeribilità della frazione (pdNDF) possano essere compresi tra un valore inferiore al 2% ed uno maggiore del 6% all’ora (Combs, 2013). Man mano che l’ingestione e la velocità di transito aumentano, si riduce la digeribilità nei foraggi, in special modo per quelli più scadenti.
Altre pubblicazioni supportano anche l’idea che i ruminanti non compensino completamente i diversi tassi di digeribilità della fibra (Kd) regolando l’ingestione volontaria per variare il passaggio (Kp) di fibre potenzialmente digeribili (Combs, 2013).
Sfortunatamente, il valore NDFD in vitro per un singolo punto (24, 30 o 48 ore) non misura la pdNDF e non riflette accuratamente il tasso di digeribilità NDF. Un valore della NDFD in vitro a punti singoli rappresenta solo la fibra residua dopo un periodo specifico di incubazione con fluido ruminale e comprende sia la iNDF che la pdNDF. Allen (2011) sostiene che la digeribilità delle fibre determinata con il metodo tradizionale in vitro sovrastimi la digeribilità in vivo.
Il valore di Kd dell’NDFriportato oggi in molte analisi del foraggio è il risultato di una procedura matematica per calcolare il tasso di scomparsa delle fibre, assumendo una costante nel tempo e fissando la frazione iNDF come 2,4 x il valore di lignina.
Raffrenato e Van Amburgh (2010) hanno proposto una media più precisa e accurata della degradazione NDFutilizzando valori di NDFD in vitro a 36, 120 e 240 ore per determinare la frazione NDF indigeribile. I tassi di degradazione della fibra sono stati poi accoppiati ai tassi di passaggio della sostanza secca del foraggio previsti nel Cornell Net Carbohydrate & Protein System per predire la digeribilità della fibra (Combs, 2013).
Già nel 1979, Mertens ed Ely proposero che la degradazione del NDF nel rumine fosse un sistema a due pool (frazioni a rapida e lenta degradabilità) piuttosto che ad un singolo pool NDF.
Raffrenato e Van Amburgh (2010) hanno poi ipotizzato che i foraggi ad alta digeribilità avessero una porzione maggiore di NDF nella frazione a rapida digeribilità rispetto ai convenzionali insilati di mais con 60,7% NDF in pool veloce, 18,7% NDF in pool lento e 20,6% NDF come iNDF (fibra indgeribile). I valori per insilato di mais BMR sarebbero invece di 73,7% NDF in pool veloce, 13,1% NDF in pool lento e 13,1% NDF come iNDF.
L’esempio dei BMR
Il mais BMR è un mais con un ridotto contenuto di lignina e rappresenta un foraggio interessante sia per la sua digeribilità che per la sua struttura fisica. È risaputo che le leguminose tendono a frantumarsi in frammenti a forma cuboidale, mentre le graminacee (erbe più flessibili) si dividono in particelle lunghe e sottili, che probabilmente si aggrovigliano favorendo un più efficace tappeto ruminale. L’effetto di queste differenze potrebbe essere un tasso di passaggio più lento per le graminacee rispetto alle leguminose, e questo può compensare la minor digeribilità dell’NDF, specialmente per i raccolti più maturi (Grant e Cotanch, 2012).
Gli ibridi di mais con i geni BMR hanno meno lignina e una percentuale inferiore di iNDF rispetto agli insilati di mais convenzionali isogeni. L’analisi TTNDFD (TOTAL TRACT NDFD) indica che la migliore digeribilità della fibra negli ibridi BMR è il risultato di una percentuale inferiore di iNDF. Oba e Allen hanno riferito che il NDFD in vitro a 30 ore per un insilato di mais BMR era del 9,5 % più alto rispetto al suo controllo isogenico, ma che quando il mais BMR e il suo controllo isogenico venivano somministrati alle vacche in lattazione, le diete differivano nella digeribilità totale di soli 2 punti.
I dati del laboratorio di Dave Combs presso l’Università del Wisconsin hanno indicato che, in media, gli insilati di mais BMR hanno circa cinque punti in più in TTNDFD rispetto a quelli convenzionali; ma se confrontati, a parità di ingestione, sono da due a tre punti percentuali più alti in NDFD, mentre l’ingestione di sostanza secca aumenta del 5-7%. Valutazioni fatte da Grant e Cotanch (2012) presso il Miner Institute evidenziavano che, quando l’insilato di mais BMR sostituiva il convenzionale silomais su base secca 1:1 con un 43% della sostanza secca della razione, le vacche masticavano il 23% in meno, anche se il peNDF e l’amido erano simili tra le due diete. Il pH del rumine era tipicamente più basso durante il giorno e l’efficienza della produzione di latte corretta era ridotta quando in stalla si utilizzavano diete basate su mais BMR. Parte di questa differenza nella risposta era probabilmente dovuta alle differenze di fragilità e alla loro velocità nel frantumarsi.
Gli studi del Miner Institute hanno ulteriormente dimostrato che l’ingestione di sostanza secca aumenta quando si raziona con elevate quantità di insilati BMR, mentre con inclusioni più contenute le differenze non vengono notate. Nelle vacche alimentate con una dieta ad elevata inclusione di fibra BMR la massa microbica presente nel rumine è di solito inferiore, e questo indica come le vacche siano in grado di ottenere il medesimo apporto nutritivo sfruttando di più la frazione NDF. La produzione di proteine microbiche è in genere aumentata con un insilato BMR, presumibilmente per la sua più abbondante fermentescibilità nel rumine (Grant e Cotanch, 2012).
Queste differenze tra la BMR e la genetica convenzionale dell’insilato di mais hanno probabilmente un impatto sulla quantità e sulla dimensione delle particelle di foraggio, e sulla velocità con cui queste particelle si degradano e si spostano nei prestomaci.
Per prevedere con precisione il passaggio di particelle dal rumine, è necessario comprendere sia le proprietà chimiche della digeribilità degli alimenti zootecnici che le proprietà fisiche che influenzano la riduzione delle dimensioni (Grant e Cotanch, 2012). Quando si considerano i fattori che influenzano il pdNDF, è importante non trascurare l’influenza dell’ambiente di crescita (Feedstuffs, 14 giugno 2010). Combs (2013) ha segnalato come possa esistere una sovrapposizione della digeribilità tra gli insilati di mais convenzionali e BMR. I dati sperimentali dimostrano infatti che le condizioni di crescita, l’epoca di raccolta e altri fattori al di là della genetica delle piante sono in grado di influenzare la digeribilità della pianta.
Implicazioni ambientali
Una potenziale preoccupazione per le diete ad alto contenuto di foraggio è l’aumento delle emissioni di metano. Il letame genera il 25% delle emissioni di metano prodotto in allevamento, mentre il restante 75% proviene da emissioni enteriche e rappresenta tra il 6% e il 10% dell’energia lorda ingerita dalle vacche in lattazione (Chase 2010).
Nel dicembre 2009, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti e il Centro per l’innovazione degli Stati Uniti hanno firmato un’intesa di collaborazione con l’obiettivo di ridurre del 25% le emissioni di gas serra nel settore della produzione del latte nel successivo decennio. Le aree identificate per la loro diretta influenza sulle emissioni di metano sono: (1) funzionalità del rumine (compresa la genomica microbica/ ecologia), (2) miglioramento della qualità degli alimenti e l’utilizzo di additivi per una maggior efficienza, (3) miglioramenti genetici per la produttività individuale della vacca, (4) corretta gestione della singola vacca e (5) della mandria per ridurre il numero di giorni improduttivi.
L’industria lattiero-casearia degli Stati Uniti ha registrato già nell’ultimo mezzo secolo notevoli progressi nell’efficienza produttiva e nella gestione ambientale, con un incremento nella produzione annua di latte per vacca di oltre il 400% e una riduzione di due terzi dell’impronta di carbonio nella produzione di un’unità di latte (Bauman e Capper, 2011).
È importante mantenere una prospettiva globale sull’obiettivo di ridurre le emissioni di metano. Gli Stati Uniti forniscono infatti circa il 16% della produzione mondiale di latte ma solo circa l’8% delle emissioni totali di gas serra (Chase, 2010). Il Nord America e l’Europa hanno attualmente le emissioni di gas serra più basse per unità di latte corretto grasso e proteine; il livello più alto è stato rilevato nell’Africa sub-sahariana. Inoltre, la maggior parte dell’aumento della produzione zootecnica globale nei prossimi 35 anni si verificherà nei paesi in via di sviluppo.
In sintesi
La quantità di foraggio inclusa nella razione è principalmente dettata dalla necessità di mantenere in salute il rumine e formulare razioni economiche. Il costo di produzione di un foraggio è influenzato dalla resa e dai costi di raccolta, stoccaggio e trasporto, rispetto alla disponibilità di altre fonti di fibre non foraggere come le materie prime.
Miglioramenti nella genetica del foraggio (ad esempio mais BMR ed erba medica a basso tenore in lignina), unitamente a pratiche agronomiche attente e analisi complete del foraggio, aiutano a produrre foraggi di qualità superiore e sfruttare appieno il loro valore nella dieta.
Eventuali ostacoli normativi riguardanti l’impronta di carbonio e l’equilibrio tra “amido per l’uomo” e “fibra per ruminanti” potranno in futuro cambiare l’equilibrio ottimale dei foraggi nelle diete delle bovine da latte
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