IN DIFESA DELLA CARNE




Il mondo della carne: un mondo negli ultimi anni messo sotto attacco da televisioni e giornali.
L’accusa è rivolta in particolare agli allevamenti e sostiene che la produzione della carne abbia un elevato impatto sul nostro ambiente.
La domanda che sorge spontanea è: dobbiamo escludere la carne dalla nostra dieta e diventare vegani? Ma dato che la carne ha da sempre fatto parte del nostro patrimonio alimentare, io stesso vengo da una generazione di macellai e mi occupo di formare i macellai di domani, ho deciso di rivolgere questa domanda ad un esperto giornalista ambientale.
Sto parlando di Andrea Bertaglio, collaboratore de “La Stampa”. In un momento in cui il settore zootecnico sembra essere la causa di tutti i mali, Andrea ha sentito l’esigenza di prendere posizione, raccontando come stanno veramente le cose vissute da dietro le quinte.

Un settore sotto attacco mediatico

Ecco che quando ho chiesto ad Andrea “perché un esperto giornalista che si occupa di temi sociali ed ambientali, ha ritenuto necessario scrivere un libro proprio “in difesa della carne”, lui ha risposto che “Da troppo tempo sentiamo attaccare un intero settore come è appunto quello zootecnico da persone che, nella maggior parte dei casi, non sanno assolutamente nulla di ciò che sta dietro la produzione di carne.
Soprattutto in ambito ambientalista, che è quello in cui generalmente mi muovo io, l’approccio è quasi sempre ideologico. Si parla per sentito dire e si dà per scontato che quasi tutte le colpe, quando si considerano il degrado ambientale o il cambiamento climatico, siano da addossare agli allevamenti.”
Andrea però fa presente che non è così. Infatti ci conferma che: ”Avendo approfondito parecchio il tema, soprattutto nel contesto italiano ed europeo, ho deciso di dare voce a chi non ne ha e non si può difendere nei salotti televisivi dagli eco-benpensanti di turno. Generalmente chi scrive o si occupa di ambiente si scaglia a priori contro chi produce, trasforma e consuma carne.
Io ho deciso di fare esattamente il contrario, perché bandire carne ed allevamenti può essere decisamente deleterio, sia a livello di salute che di ambiente. Ma anche sociale, economico e culturale. Non sto dicendo che sia tutto perfetto, o che la carne non impatti l’ambiente per essere prodotta, e neppure che la si debba mangiare in quantità eccessive. Sto solo facendo presente che il valore della carne (e dei salumi) è enorme, che senza di essi perderemmo molto, troppo, anche in termini di sostenibilità. E con questo libro spiego brevemente perché.”
Tra le righe del libro si legge in effetti che quello della carne (partendo dal concetto alimentare, passando dagli allevamenti, fino a chi la consuma) è oggi in qualche modo un mondo “sotto attacco”, su cui viene fatta a volte una cattiva informazione.

Ma a chi “comoda” attaccarlo e screditarlo? E perché?

Andrea ritiene che: “la maggior parte delle persone che decidono di scagliarsi contro la carne lo faccia in buona fede. Chi perché convinto di fare il bene per la salute propria e dei propri cari (magari imponendo una dieta vegana ai propri figli, figuriamoci!), chi perché è convinto di rispettare l’ambiente. E non importa se poi per produrre i suoi prodotti veg ipertrasformati si impatta moltissimo, o se una volta mangiata insalatina si gira con macchinoni diesel o si prendono aerei come se niente fosse. C’è chi poi fa un discorso “etico” (senza accorgersi che il loro non è amore per gli animali, né tanto meno rispetto: è spesso umanizzare gli stessi, per riversare su di loro aspettative frustrate che il mondo degli umani non ha soddisfatto).
E poi c’è chi ha fatto un calcolo e ha capito che di questi tempi può facilmente vendere alimenti surrogati della carne che, seppur fatti con ingredienti scadenti a livello nutrizionale, costano due o tre volte quelli veri. Niente in contrario, ci mancherebbe. Se c’è chi è disposto a spendere di più per un etto di affettato di lupino (legume che costa circa due euro al chilo all’ingrosso) che per un etto di prosciutto di Parma, qualcuno fa bene a guadagnarci.
Quando però questo qualcuno fa disinformazione o pubblicità ingannevole, spacciando campagne di marketing per scelte etiche o per ingenui desideri di ragazzine appassionate di salvare il pianeta, allora non siamo più d’accordo. Spesso gli attacchi arrivano da realtà che producono alimenti “concorrenti”, e quindi da pubblicità ingannevoli.

Bufale e credenze comuni: perché porsi in difesa della carne

A questo punto è necessario capire cosa c’è di vero nell’insostenibilità del mondo della produzione della carne. Credo sia necessario rendere noti gli aspetti che meriterebbero di essere “riabilitati” nell’opinione pubblica. Infatti Andrea mi fa presente come non è vero, ad esempio, che gli allevamenti sono la principale causa delle emissioni di CO2:
Ne emettono molta di più il settore dei trasporti o quello energetico (secondo la FAO siamo a 10-14% delle emissioni da agricoltura e zootecnia contro 65-70% da energia e trasporti). Non è vero che per produrre un chilo di manzo ci vogliono 15mila litri d’acqua, perché la maggior parte di quella utilizzata torna nel suo ciclo naturale, in quanto serve per produrre foraggi. In Italia, per un kg di carne, servono circa 790 litri di acqua, un tantino meno di quanto si dica, insomma.
Non è vero che la carne è piena di ormoni ed antibiotici, perché i primi sono assolutamente vietati in Italia e in tutta l’Unione europea già dal 1981, mentre i secondi si possono usare solo quando strettamente necessario, sotto prescrizione di un veterinario. Quando vengono utilizzati, si devono rispettare i “tempi di sospensione”, ossia il periodo necessario (in base alla specie in questione) affinché gli animali smaltiscano completamente il farmaco e non rimangano tracce nelle loro carni, latte, uova ecc..
Non è vero che la carne rossa e i salumi fanno venire il cancro (lo hanno ripetuto più volte anche IARC e OMS!) perché il cancro da una parte è legato a decine di fattori genetici ed ambientali che non sono riconducibili alla sola dieta, dall’altra i rischi sono legati soprattutto ai metodi di cottura o a sostanze e consumi che in Italia non abbiamo.

Questi sono solo alcuni esempi, ma come si può notare girano un sacco di bufale, che è tempo di smontare.”

E devo dire che Andrea, nel suo libro, smonta bene queste bufale, spiegando come a volte è più facile trovare qualità, salubrità e rispetto delle regole negli allevamenti più grandi e strutturati, anziché in quelli piccoli ed artigianali, dove in alcuni casi portano ancora avanti vecchie metodologie di lavoro.

Ma il grande numero di normative ci farà un po’ perdere l’artigianalità portandoci sempre più verso una “industrializzazione” del settore?

Una “industrializzazione” del settore, come ho visto, non significa per forza un suo peggioramento o un suo allontanamento dai metodi tradizionali.” ci fa presente Andrea, “Semmai è un modo più efficiente, sicuro e controllato di produrre di più usando meno risorse. Il che è necessario, considerando la crescita della popolazione globale e il fatto che siamo su un pianeta limitato, dalle risorse limitate.
Io spero che restino sempre vivi certi mestieri “artigianali” e il loro saper fare (sono certo che in Italia sarà così, perché rappresentano una ricchezza molto grande che, sia il nostro Paese che l’Unione europea, tendono a preservare), e che i piccoli allevamenti possano sopravvivere alla crisi che stanno attraversando. Secondo me le produzioni artigianali possono sopravvivere, coltivando come fanno da secoli l’eccellenza e dedicandosi di conseguenza a una clientela più esigente, che cerchi appunto il prodotto particolare. L’Italia ha molto da offrire in questo, non a caso abbiamo il record di denominazioni DOP e IGP, in gran parte date proprio a prodotti carnei.

Se da un lato le grandi realtà possono permettersi più facilmente di fare investimenti per rispettare le norme, è anche vero che così facendo, ogni giorno perdiamo una fetta di autenticità legata al “fare le cose come una volta”, non trovi?

“Non necessariamente. Non penso che l’autenticità si perda adeguandosi ai tempi. Se ci si pensa bene, ogni tradizione si evolve nel tempo, in base agli sviluppi tecnologici e sociali del periodo in cui si vive. Dubito che, ad esempio, i salumi oggi si producano, vengano conservati o abbiano le stesse caratteristiche di quelli prodotti qualche secolo fa. Una conferma del fatto che “fare le cose come una volta” non è necessariamente positivo.
Io come consumatore non vorrei carne trattata o conservata come si faceva anche solo qualche decennio fa, proveniente da allevamenti in cui gli animali erano tenuti in condizioni pietose sia a livello di igiene che di benessere, offrendo così prodotti più scadenti sotto ogni profilo.
L’autenticità, al contrario, penso possa beneficiare di certi tipi di sviluppo. Bisogna però fare attenzione a non perderla in nome di produzioni eccessivamente di massa, che facciano perdere “l’anima” dei prodotti e quindi le loro caratteristiche.
Insomma, secondo me il rischio non è nel rispetto delle norme. Al contrario, rispettarle ci può preservare dalle sofisticazioni, dall’ “Italian sounding” e da tutto ciò che ci può far perdere appunto l’autenticità dei nostri prodotti.”

E dato che io in prima persona sono un sostenitore della qualità, chiedo ad Andrea: quale pensi sia la direzione che “il mondo della carne” deve seguire per migliorarne la sostenibilità senza screditarne la qualità ed il valore?

Quella che, vedo con piacere, sta seguendo buona parte di questo “mondo”, soprattutto in Italia: una sempre maggiore attenzione al benessere animale e al ridotto impatto ambientale, sempre focalizzata sulla qualità e la sicurezza.
Il settore zootecnico italiano, per quello che ho visto in questo mio viaggio che mi ha portato a schierarmi apertamente “In difesa della carne”, sta facendo delle cose straordinarie in termini di sostenibilità. E’ giusto non solo che continui in questo modo (si può ancora migliorare, di sicuro), ma che influenzi anche altri Paesi o contesti, soprattutto extra-europei, a fare lo stesso. Allo stesso tempo, deve da una parte comunicare di più e meglio ciò che fa (e in Italia si è iniziato a farlo, con progetti come Carni Sostenibili, o come la Campagna sullaStellina della carne bovina, o ancora come quella sui salumi e la carne suina, “Energia che è un piacere”), dall’altra deve a mio avviso essere sempre più aperta e trasparente, in modo da levare ai detrattori della produzione e del consumo di carne molti argomenti.

Se tu vai e vedi con i tuoi occhi cosa fa un allevatore e come tratta i suoi animali, appena vedi l’ennesimo video o trasmissione televisiva che ti parla di maltrattamenti di animali negli allevamenti ti rendi conto che quella, semmai, è un’eccezione e di sicuro non la regola.”


Devo dire che concordo pienamente con le sue parole perché c’è ancora chi crede nei valori del buon cibo e della buona tradizione. Certo è che tutto questo deve andare al passo con il crescente numero della popolazione e per questo, il fatto di doverlo fare in grande, alle volte può far sembrare di perdere l’artigianalità delle cose.

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