Degustazione sensoriale: aisthanomai = percepire (non sentire)
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Hai mai provato a percepire? No, non parlo di tutto quello che riguarda l’educazione sensoriale. Parlo di quella intuizione, di quello stato di incosciente consapevolezza che ci fa avvertire la probabile scintilla al di la della normale e lineare ragione.
Nei soggetti accademici è il momento prima di urlare a gran voce “Eureka“ , nelle persone più sensibili questo concetto è la capacità di percepire anche i battiti di ali di farfalla nell’ambiente circostante, negli artisti è la lucida follia che accompagna la loro creatività. C’è chi la chiama Marlena, chi illuminazione, chi idea e tutte fanno parte però di un processo contemporaneamente così umano ma cosi trascendente come la percezione di ciò che è fuori dal campo prettamente tecnico.
Ritornando all’educazione sensoriale in gastronomia, ci sono diverse tecniche per poterla sviluppare e molti Professori dai quali imparare, ma la parte ora da analizzare è il talento innato, quello che accomuna i “grandi geni” e che li ha resi appunto tali, grazie al fatto di aver coltivato questa forma di delicatezza.
Che cos’è quindi il talento, se non la piena consapevolezza delle proprie percezioni? Il termine in greco antico, infatti, racchiude in se un significato lessicale inarrivabile in qualsiasi altra lingua: tentando di parafrasarlo, si potrebbe spiegare come la capacità di percepire al di là dei propri sensi. Da sempre, ogni talento se ben supportato e non contaminato, da origine a sogni o addirittura ad impatti sociali.
Nel nostro campo, se la vinificazione fosse rimasta solo come un processo di sostentamento e scambio commerciale non avremmo avuto oggi i Grandi Maestri dell’enologia.
Se la cucina fosse solo sminuita alla falsa credenza del ribasso del prezzo, non avremmo avuto i Grandi Chef che oggi la storia enogastronomica ci ha regalato (e al contempo non avremmo avuto neanche il piacere del far perdurare e sperimentare le diverse culture alimentari).
Se il concetto di turismo fosse solo “avere una camera per la notte”, non avremmo abbracciato il concetto e l’attitudine all’ospitalità (in Italia ancora troppo debole, ma svilupparla sarà la nostra aurora economica per il futuro).
"Aisthanomai" è percepire, capire e far partecipare avendo reso proprio il concetto: Aisthanomai è la prima base della condivisione, Aisthanomai è il cardine della sensibilità artistica, Aisthanomai è l’arte.
Aisthanomai è l’abbinamento gustativo in un piatto, è in un pairing, è in un concetto non banale espresso da un menù, è il coraggio imprenditoriale nel recuperare le radici di un territorio quasi perduto, è scrivere la ricetta della nonna mentre lei te la detta al telefono, è casa e voler far sentire il prossimo a casa.
Come non poter dunque considerare i Maestri produttivi Italiani che seguono filosofie, sogni e valori etici, dei sognatori talentuosi ricchi di visioni da condividere con un consumatore consapevole? Come non poter considerare anche noi stessi, se ricettivi a questo sforzo espressivo da parte dei creatori, dei possessori di questa “sensibilità” ? Nessuna forma di arte, cibo compreso, è elitaria. La vera responsabilità è nelle mani e nella coscienza di chi gode di questa sensibilità, facendosi portavoce di queste percezioni, talvolta dormienti, per poter recuperare in modo maieutico le caratteristiche che ci rendono tanto umani, quanto trascendenti.
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