Felicità alimentare lode alla dieta mediterranea

 



Il mito e l'evocazione della «dieta mediterranea» si affermano, in modo esasperato e mediatico, in molti paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia) soltanto tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, quando compaiono i primi disagi e le nuove patologie di una società obesa. 

In questo periodo vengono riconsiderate e, in parte, mitizzate alcune posizioni affermatesi nel corso dei decenni precedenti. 

Nel 1948 uno studio condotto a Creta per conto della Rockefeller Foundation pone le basi per l'invenzione di un regime alimentare mediterraneo efficace nel prevenire alcune malattie. La formulazione di un «ideale culinario» comune a tutti i paesi dell'area, cui si fa riferimento come a una realtà indiscutibile, è presente in diversi libri di cucina apparsi a partire dai primi anni cinquanta. 

La promozione di un «regime mediterraneo», contrapposto agli standard alimentari dei paesi industrializzati occidentali, si consolida con la rilettura delle indagini, risalenti al 1952, del biologo e fisiologo Ancel Keys, che mette in relazione consumi alimentari - in particolare l'eccesso di grassi animali - e fattori di rischio di arteriosclerosi in sette paesi. 

Ricerche condotte a partire dal 1957 in Grecia, a Creta e nel Mezzogiorno d'Italia (a Nicotera in Calabria e a Pioppi, frazione di Pollica, nel Cilento) da Keys e altri studiosi segnalano come il tradizionale modello alimentare svolgesse una funzione preventiva per le malattie cardiovascolari. 

Si afferma l'idea che l'alimentazione mediterranea - ricca di cereali, legumi, frutta e verdure, con una rilevante presenza di pesce fresco e paste, con una quota bassa di prodotti di origine animale come formaggi e uova, e povera di grassi saturi, con olio di oliva come principale condimento - fosse la più adatta a contrastare malattie degenerative: affezioni cardiovascolari, diabete, cancro, le malattie del benessere che in quegli anni si andavano diffondendo nei paesi sviluppati. 

Ma come ricorda Igor de Garine, citando una vasta letteratura sull'argomento, «gli effetti benefici evocati delineano un insieme di correlazioni più che di relazioni causali e si resta sempre nel campo delle ipotesi plausibili». 

Il modello indicato come «tipicamente mediterraneo» fa riferimento, in maniera rituale e assertiva, alla frugalità, alla sobrietà, all'equilibrio di una tradizione mai ben precisata e a una sorta di dietetica che nel passato si sarebbe affermata in maniera uniforme dappertutto nel Mediterraneo. 

Nel periodo in cui veniva costruito il modello della «dieta mediterranea», le popolazioni conoscevano ancora situazioni di disagio. A Nicotera gli stessi rilevatori dell'équipe di Keys, che vanno a pesare quotidianamente le pietanze consumate dalle famiglie individuate per l'indagine, ascoltano di frequente sconfortanti dichiarazioni delle donne di casa: «Stasira non pensu ca mangiamu» (Credo che questa sera non mangeremo).

Nel 1995, in un libro di memorie in cui ripercorre le diverse fasi della sua lunga ricerca, Massimo Cresta, cosi ricordando il vitto trovato proprio in quel Cilento idealizzato da Keys, scriveva: 

«Quanta delusione per i nutrizionisti di oggi, cultori della "dieta mediterranea", pensare che la "dieta del Mediterraneo" che si consumava in questa terra Cilentana 60-70 anni fa, non era a base di olio d'oliva e di frumento, ma di castagne, granturco, e grasso di maiale». 

Siamo in presenza di un'invenzione nostalgica. Il modello della «dieta mediterranea» non corrisponde alla realtà storica di nessuna area geografica del Mediterraneo. La dieta mediterranea viene considerata una norma morale ideale, una sorta di utopia basata sul mito di una specie di «eternità» e su un modello quasi religioso e morale (a volte di estrazione puritana e avventista) di ascesi, frugalità e semplicità. 

Non bisogna dimenticare anche i grandi interessi economici che ruotano attorno alla promozione della dieta mediterranea. La conferenza sull'alimentazione mediterranea svoltasi a Boston nel 1993 (organizzata dalla Harvard MedicaI School e sotto gli auspici della «Oldways Preservation Trust») veniva finanziata dai produttori di olio d'oliva e vini californiani e dagli importatori americani di prodotti alimentari greci. 

L'idea di dieta mediterranea, nelle sue formulazioni più ingenue, non distingue affatto tra le disponibilità e le pratiche alimentari dei paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo e quelli della sponda meridionale, e d'altro canto crea distinzioni forzate e inesistenti tra i regimi alimentari delle diverse aree d'Italia, che presentavano più somiglianze che differenze. 

Studiosi di varie discipline che affrontano il problema dell'obesità e delle malattie cardiovascolari e circolatorie presenti al Sud fanno notare che, negli ultimi decenni, le popolazioni si sarebbero allontanate da una «dieta mediterranea» tradizionale, praticata da secoli, fin dall'antichità. 

Tutto ciò è un approccio antropologico sbagliato. Il paradosso è che l'erosione della dieta mediterranea non avviene perché le popolazioni si allontanano da un modello ideale basato su vegetarianismo, frugalità, sobrietà, ma perché realizzano invece altri aspetti presenti nella loro cultura alimentare: il sogno dell'abbondanza e del piacere alimentare, il desiderio di buoni cibi. 

Questa critica della dieta mediterranea detta “mitologica” è ribadita da studiosi di varie discipline. Preziose indagini sulle culture alimentari del Mediterraneo, hanno posto il problema di non ridurre la dieta mediterranea a mitologia e a leggenda; di coglierne la dimensione storica, la mobilità e il carattere aperto all'innovazione; di individuarne somiglianze e differenze nei diversi contesti ambientali e sociali; di sottolinearne le valenze antropologiche, dietetiche, simboliche, rituali, conviviali. 

Un'identità alimentare mediterranea non si può giustificare «razionalmente» né per la naturalezza né sulla base di concezioni dietetiche o motivazioni ideologiche. 

Si tratta di un'identità da costruire sulla base di una diversa nozione di qualità, sull'attenzione posta alle particolarità e alle specificità alimentari, sul valore assegnato a funzioni centrali dell'alimentazione come la socialità e la comunicazione. 

Paradossale è che la dieta mediterranea, nata come invenzione americana, è diventata quasi una denuncia dello stile alimentare americano. Infatti nel rinnovato significato che oggi conosce nell'area del Mediterraneo, la dieta mediterranea - nel 2010 riconosciuta dall'Unesco come Patrimonio culturale intangibile dell'umanità - si oppone a modelli alimentari omologanti e a forme di «non cucina», tentando un recupero dell'importanza del legame tra piacere, cibo e salute. È forse più di tutti quest'aspetto non penitenziale, non punitivo né mortificante, unito al richiamo agli stili di vita e ai modelli di produzione e consumo, che ce la consegna come una grande narrazione del cibo.

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