DAL PANE DI SEGALE A DOLCE & GABANA
Ero intenta nella lettura di “Un consiglio dannatamente buono” di George Lois (un libro che vi consiglio fortemente, se come me siete lettori onnivori e credete nell’impollinazione trasversale delle menti) quando mi sono fermata estasiata al consiglio nr. 30 dell’autore, ad attirare la mia attenzione una foto, quella di una pubblicità del 1960 che ritrae un nativo americano che addenta serenamente un sandwich.
Lois mi fa notare come, Bill Taubin (art director) e Dave Reider (copywriter), siano riusciti a vendere un prodotto etnico attingendo alla varietà del genere umano. I due hanno realizzato una serie di poster in cui avevano fotografato la reazione di un nativo americano, un poliziotto irlandese, un lavandaio cinese, un corista cattolico, un giovane afroamericano subito dopo aver assaggiato un panino fatto con la segale di Levy’s (un noto fornaio di Brooklyn famoso per il suo pane alla segale). Con uno slogan e un’illustrazione in totale sinergia tra loro e che restavano ben impressi in mente, la campagna riusciva a comunicare in un nanosecondo il suo messaggio,
Il poster del nativo americano che addenta il panino di segale è parte integrante – oggi – della collezione permanente dello Smithsonian, mentre la campagna stessa è citata spesso come il primo esempio di pubblicità di successo che utilizza in maniera corretta il tema dell’identità e della diversità etnica.
Geniale.
Geniale perché è un’ottima pubblicità trasversale, accattivante, acuta e rispettosa fatta per un prodotto che è etnico e allo stesso multietnico, e lo trasmette con un sorriso e nel rispetto delle differenze.
E’ buffo che proprio mentre riflettevo sulla genialità di una campagna del genere (forse erano più bravi e creativi negli anni Sessanta?!?) mi imbatto nella gaffe di Dolce & Gabbana. Lì per lì non gli ho dato peso, ma poi per curiosità ho voluto capire quale tratto culturale avessero pestato, per ottenere una reazione così violenta da parte della Cina. Guarda caso scopro che i video incriminati hanno come oggetto il cibo: una bella ragazza cinese cerca di mangiare con le bacchette una pizza, un cannolo , e un piatto di spaghetti. Le accuse che sono piovute sulla celebre casa di moda italiana sono di razzismo e sessismo (quest’ultimo da impuntarsi al fatto che nello spot con il cannolo una voce fuori campo chiedeva alla ragazza se questo non fosse troppo grosso per i suoi gusti). Le accuse di razzismo sono state sollevate per tutta la serie di stereotipi sulla Cina e i cinesi con i quali il mondo occidentale guarda al paese, come musiche tradizionali e decorazioni. Il tutto sembra essere peggiorata con la reazione sproposita di Stefano Gabbana sui social, dove avrebbe insultato pesantemente il popolo cinese.
Non voglio entrare nel merito di questa diatriba, certo è che le due campagne pubblicitarie, incentrate entrambe sul cibo, sono veramente stridenti per sensibilità. Eppure quella della Levy’s avrebbe potuto essere più fragile dal punto di vista multiculturale, visto che negli anni Sessanta stavano maturando certi diritti. Certo è – evidentemente – che non si davano per scontati, come oggi avviene.
Perché accade questo?
E’ evidente che il mondo della pubblicità non sta ancora sviluppando le adeguate competenze culturali. I creativi del gruppo avrebbero dovuto essere coscienti della dipendenza e della peculiarità culturale delle reazioni del popolo cinese. Ci sono sensibilità differenti e soglie invalicabili che variano da cultura a cultura. Il mercato globale non può prescindere da questa pluralità di visioni e prospettive – scrive bene Vittorio Pelligra su Il Sole24ore.
Nel precedente post, dedicato a nutrizionisti e dietologi, avevo sollevato proprio questa problematica: la mancanza di formazione relativamente alle competenze culturali quando si lavora con realtà non occidentali. Ora indirettamente (ma neppure tanto) la rivolgo al mondo del marketing e della pubblicità. Sviluppare competenze che dialogano con la diversità con cui lavoriamo è fondamentale, fuori e dentro l’azienda.
Ma più di tutto, tornando al libro citato in apertura di questo post, è importante ricordare quanta importanza abbiano – nell’industria creativa (Pubblicità, Design, Comunicazione ecc.) i messaggi che vengono veicolati.
Non a caso Geoge Lois, una leggenda della pubblicità (che ha ispirato anche la celebre serie TV “Mad Men” ambientata nel mondo delle agenzie pubblicitarie degli anni Sessanta) afferma, parlando della sua professione: Per me, un vero spirito creativo è in grado di combattere le battaglie per le buone cause”
Questa affermazione dovrebbe essere la base di ogni etica professionale, non credete?
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