LE ORIGINI DEL COUS COUS

Il couscous è il piatto più conosciuto in Italia della cucina maghrebina, mentre i nostri vicini di casa francesi, secondo la rivista Gault Millau, lo inseriscono al terzo posto dei loro piatti nazionali preferiti, come una specialità della cuisine francaise d’outre-mer. E’ opinione diffusa che si tratti di un piatto di origine araba, ma le cose non stanno così...

Abdrerrahim Bargache, dell’Academie Royale de la Gastronomie Marocaine in una delle sue ultime interviste mi racconto l’origine del nome couscous, che deriverebbe secondo le sue ricerche, dal suono onomatopeico dei bracciali metallici delle donne marocchine, intente a lavorare la semola all’interno del classico piatto di terracotta o gsaa. Il movimento ripetuto del polso era come una sequenza ritmica per quei bracciali che sembrava suonassero: kess... kess... kess... Da questo suono nacque la denominazione cous cous. Molti credono erroneamente che il cous cous sia un piatto di origine araba, ma così non è, poiché nella penisola arabica il couscous non si consuma, se non come un piatto esotico. Il couscous infatti è un piatto tradizionale del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia), il suo limite di espansione verso Oriente è limitato al Golfo della Sirte. In Israele lo troviamo come piatto della diaspora degli ebrei sefarditi d’origine maghrebina. Il couscous dunque sta al Maghreb, come il bulghur ed il riso stanno al Mashreq. Nei sette anni in cui mi sono occupato come co-direttore artistico del Couscous Fest a S. Vito lo Capo ho avuto modo di studiare questo piatto, nelle sue diverse declinazioni e sono arrivato alla conclusione, condivisa per altro da diversi accademici, che la sua origine sia africana.
In tutta l’Africa sub-sahariana infatti, si trovano piatti unici a base di cereali (miglio, fonio, brisure di riso, mais bianco, manioca), serviti con un contorno di carni o pesce e verdure, cucinate e accompagnate da dense salse aromatiche, talvolta piccanti. Ma come sarebbe arrivato sulle rive del Mediterraneo? E’ grazie alle piste percorse dai pellegrini diretti a Mecca, che questo piatto unico si diffuse verso Occidente (Maghreb, sta per Occidente in arabo), modificandosi. In altrenativa agli ingredienti africani, s’inizio a preparare con la farina di grano duro, lavorata sotto forma di micro sferule che venivano poi essiccate, per poterle poi conservare durante l’anno, come scorta alimentare. I caravanserragli (kervansaray) erano i luoghi dove i pellegrini diretti a Mecca, provenienti da diverse aree dell’Africa transitavano e sostavano per riposare e rifocillarsi, divenendo uno dei principali luoghi d’incontro e di scambio, anche dal punto di vista delle diverse tradizioni gastronomiche. Ancora oggi in Africa troviamo piatti che rappresentano la versione locale del couscous: dal bassi saltésenegalese di miglio, all’attiké della Costa d’Avorio di farina di manioca. Con la tratta degli schiavi verso l’America latina, il couscous arriverà anche in Brasile, nella sua versione a base di farina di manioca, come ancora oggi si consuma nel deserto del Sertão, sotto forma di dolce, o a São Paulo, come uno sformato.
Dal Maghreb il couscous si è diffuso anche in Italia e in Francia. Un’altra leggenda da sfatare è che in Italia sia stato introdotto dagli Arabi durante la dominazione della Sicilia. Qualcuno vorrebbe imparentarlo erroneamente con la Cuccia, il dolce consumato in occasione della festa di Santa Lucia a Siracusa. Se davvero fosse stato introdotto durante la dominazione araba lo troveremmo in tutte le province siciliane, mentre così non è. In Sicilia la sua diffusione è limitata alla Provincia di Trapani, dove è arrivato grazie ai pescatori tunisini che lavoravano sulle imbarcazioni di Marsala (Mars’ Allah, il porto di Allah) e di Mazara del Vallo, insieme ai siciliani. Ad Agrigento se ne conosce una ricetta dolce elaborata dalle monache cistercensi del convento di Santo Spirito. La semola era molto comoda da trasportare sui pescherecci e la si poteva cuocere facilmente, insaporendola con salse a base di spezie e pesci, seguendo una delle tante ricette di cous cous bl’ hut(couscous di pesce). I trapanesi dunque impararono ad usare questa specialità, ma modificarono la ricetta, per adattarla ai propri gusti. Un’altra teoria sostiene invece che il piatto sia stato importato in Italia dai siciliani migrati in Tunisia, dove lavoravano come commercianti nei mercati di Tunisi e Sidi Bou Said. In Italia troviamo il cous cous anche nell’isola di San Pietro, a Carloforte, in Sardegna, dove è arrivato grazie ai tabarkini, discendenti di coloni liguri trapiantati nell’isola di Tabarka e poi migrati sull’isola di San Pietro, che portarono con sé la semola di cous cous. Ancora oggi a Carloforte si prepara il cascà, secondo una ricetta che non prevede l’uso del pomodoro, ingrediente giunto in Europa solo dopo la scoperta delle Americhe. Carloforte conserva questa tradizione del cascà in bianco, come alcune ricette berbere della tradizione kabyl algerina. Il couscous figura nelle prime edizioni del ricettario di Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” che lo inserisce tra i piatti introdotti dalle comunità ebraiche a Roma, Livorno e Venezia...

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