Antropologia alimentare: religioni e dialogo a tavola



Antropologia alimentare: religioni e dialogo a tavola


Ogni religione presenta una normativa alimentare, il cui impatto nel sistema religioso non è uguale ovunque, anzi, si diversifica alquanto. Alcune religioni orientano i fedeli verso un regime alimentare che non contempla nessun tipo di carne: il vegetarianesimo è il tratto più comune che si ricava dal comportamento di induisti, buddhisti e jainisti. 
Altre impediscono il consumo della carne di alcuni animali: se l'islamismo ne rigetta solo pochi, l'ebraismo si distingue da tutte le altre religioni per la sua normativa alimentare, capace di separare dal mondo animale ciò che è permesso consumare da ciò che è proibito mangiare. 
La religione cristiana è l'unica che non presenta un vero codice in campo alimentare, ma anch'essa, come del resto tutte le altre, prevede un periodo dell'anno durante il quale vige l'astensione da certi cibi e secondo un calendario ben articolato sono spesso prescritti veri e propri digiuni. 
La totale astensione da ogni tipo di cibo è un tratto che si rileva in tutte le religioni; non così i tempi e i modi, che differiscono notevolmente, spesso mutati nel corso dei secoli. Per fortuna non mancano anche momenti più lieti. In occasione delle grandi feste religiose si preparano volentieri certi piatti di solito assenti dalle tavole dei fedeli durante il resto dell'anno. Essi non forniscono solo una gioiosa occasione per comunicare e per intrattenere relazioni sociali, aspetto questo tutt'altro che secondario e irrilevante. 
La preparazione di un certo cibo, presentato sulla tavola insieme ad altri particolari cibi e consumato in tempi dell'anno prestabiliti, svolge un ruolo importante, potremmo dire simbolico, nel ricordare ai commensali l'atmosfera liturgica che circonda il pasto. Valga come esempio il menù di Pesah (Pasqua ebraica): la bontà delle erbe è fuori discussione, ma il mangiarle insieme con la zampa di agnello, con un uovo sodo, con un composto di noci, mele grattugiate e miele, con un gambo di sedano e prezzemolo richiama alla mente dell'ebreo qualcosa che supera la necessità fisiologica dell'uomo e lo cala in un contesto religioso ben preciso, perché egli consuma quella carne e non un'altra, pretende un pane azzimo e non uno lievitato. 
Numerosi i punti in comune presenti nei tabù alimentari delle religioni. Essi sono rilevanti come lo sono le differenze. La prescrizione di una certa carne o il divieto di alcune bevande hanno un valore che va ben al di là dalla semplice decisione di cosa mangiare o di cosa bere. Nel contesto religioso in cui ci muoviamo, la rinuncia a qualcosa o la sua privazione per un lasso di tempo sono comportamenti che traducono nel concreto la fede della persona, disposta a renderne ragione anche in cucina. 
Possiamo allora affermare che conoscere meglio una religione dipende anche dalla comprensione che noi abbiamo delle sue abitudini alimentari. Esse si ricavano dall'osservanza dei divieti alimentari che costituiscono una particolare chiave per accedere a mondi che dobbiamo rendere più familiari. 
Il cammino del dialogo tra le religioni, un percorso impegnativo, può essere più accessibile grazie alla predisposizione con cui accogliamo gli altri, invitandoli, perché no, a sedere alla nostra tavola, disposti di buon grado a contraccambiare

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