Il cervello degli chef è diverso dal nostro? La parola alla scienza
Il cervello degli chef è diverso dal nostro? La parola alla scienza
JAUME ESCOFET/FLICKR
Gli chef hanno un cervello diverso da quelli nella media.
Almeno quelli calabresi: parola dell'Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Catanzaro (Ibfm-Cnr). La ricerca, effettuata tramite risonanza magnetica e test neuropsicologici, era incentrata sulle conseguenze che un lavoro così impegnativo, sia dal punto di vista fisico che da quello mentale, ha sulla plasticità neurale.
La categoria degli chef non era mai stata analizzata dal punto di vista dello sviluppo cognitivo, come invece era stato fatto per musicisti, sportivi, scacchisti. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plos One, ha mostrato come, negli undici giovani chef della Calabria selezionati dalla Federazione Italiana Cuochi (FIC), ci sia un aumento di materia grigia nel cervelletto.
Antonio Cerasa del Consiglio Nazionale delle Ricerche spiega: "Anche altri gruppi di carriera come matematici, tassisti, nasi, arrampicatori, giocatori di scacchi e sommelier, sono caratterizzati da simili cambiamenti di plasticità neurale" perché considerati "esperti" cioè con molti anni di formazione. “L'analisi di neuroimaging ha rivelato che l'esperienza dello chef è incarnata nel cervelletto” aggiunge Antonio Cerasa.
“Il cervelletto è una delle principali regioni del cervello coinvolte nell'apprendimento motorio / cognitivo".
Questo aumento di volume cerebrale sembra essere proporzionale al numero dei membri della brigata e alla pianificazione motoria richiesta agli chef. In pratica più persone ci sono da coordinare in cucina e più compiti ci sono da organizzare più il cervello si adatta e si sviluppa in maniera diversa.
“Questo lavoro neuroscientifico testimonia il valore del modello tracciato da Auguste Escoffier” - aggiunge Carmelo Fabbricatore, presidente della sezione FIC della Calabria “che, oltre un secolo fa, affermava che per diventare chef non si smette mai di imparare”.
I dati sono ancora preliminari, ma certo la prossima volta che qualcuno sosterrà che il lavoro in cucina non è un lavoro di testa, saprete cosa replicare.
Comments
Post a Comment