CARNE..LA SUA GRANDE IMPORTANZA

 

Una nuova ricerca lo riconferma: “I cibi di origine animale, se adeguatamente prodotti, sono fondamentali per il nostro benessere; escluderli sarebbe disastroso”


Qual è il futuro della zootecnia? A cercare una risposta, tra linee di pensiero astratte e il nostro desiderio storico e biosociale di carne, è un’equipe di ricercatori coordinati dal professor Frédéric Leroy dell’Università di Bruxelles. Esiste attualmente uno scontro tra coloro che desiderano abolire il bestiame e quelli che lo difendono come elemento chiave di società sane e sostenibili.

Gli alimenti di origine animale hanno sempre avuto una posizione chiave nella dieta dell’uomo, ma le nuove idee sul cibo che si stanno diffondendo oggi stanno creando una profonda trasformazione sociale. Il professor Frédéric Leroy della Facoltà di Scienze e Bio-Ingegneria dell’Università di Bruxelles, analizza insieme ad Adele H. Hite e Pablo Gregorini in uno studio molto interessante e approfondito (“Livestock in Evolving Foodscapes and Thoughtscapes“) come verrà risolto lo scontro attuale tra un desiderio di carne biosociale e le linee di pensiero moderne che ritraggono invece l’allevamento del bestiame come dannoso per l’uomo, per il benessere degli animali stessi e per il pianeta.

Vengono date finalmente risposte concrete ad alcune domande attuali, prospettando diversi scenari futuri: è giusto uccidere ancora gli animali per cibarsi di carne? È vero che per il bene nostro e del pianeta dovremmo diventare tutti vegani? Qual è il futuro della zootecnia? Secondo gli studiosi non ci sono dubbi: da quando è nato l’uomo sulla Terra la carne è sempre stata necessaria per la sua sopravvivenza ed evoluzione. Senza carne ci saremmo sicuramente estinti. Il rapporto col bestiame ha subito però una profonda trasformazione nel corso del tempo. A cominciare da quando l’uomo era organizzato in comunità di cacciatori-raccoglitori, la carne è stata la forma prevalente di sostentamento umano, con l’uccisione come punto focale, a cui poi è seguita una transizione verso l’agricoltura, la domesticazione e l’allevamento degli animali.

Secondo gli studiosi non ci sono dubbi: da quando è nato l’uomo sulla Terra la #carne è sempre stata necessaria per la sua #sopravvivenza ed #evoluzione.

Il XIX secolo, caratterizzato dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione, specialmente delle società occidentali e anglosassoni, ha portato allo sviluppo di un sistema agroalimentare moderno che ha determinato un progressivo aumento dell’approvvigionamento di carne. Questo ha migliorato il benessere e sconfitto la denutrizione delle classi meno agiate, che avevano scarso accesso ai cibi di origine animale e alla carne, considerato un prodotto di gran valore riservato all’élite.

Oggi però si vede l’emergere di varie minacce globali, come la crisi della salute pubblica, il cambiamento climatico, le pandemie e i dubbi sull’impatto che la produzione animale ha sull’ambiente, sulla salute dell’uomo e sul benessere animale. Si assiste ad una presa di posizione che si riflette sul modo di alimentarsi, sempre più orientato verso un ritorno al cibo “naturale”, biologico e libero di additivi. Molto di questo deriva dall’ansia delle classi medie di mostrarsi o sentirsi “virtuose”. Leroy parla anche della nascita di una nuova “sensibilità” nelle giovani generazioni non abituate per cultura all’uccisione degli animali, che anzi oggi vengono eccessivamente antropomorfizzati, con la fantasia che prende il posto della realtà: da qui nasce il forte disagio odierno, che fa provare addirittura disgusto verso la carne, vista come “pezzi di cadavere”.

Gli attuali livelli di #veganismo sono ancora bassi (1-4%), ma per raggiungere una massa più vasta di persone avverse alla #carne si è reso essenziale il coinvolgimento e l’influenza dei #ResponsabiliPolitici.

Il problema è diventato più acuto nell’ultimo decennio a causa di campagne di stampo animalista sui diritti degli animali, sia sui social media, sia con documentari o film su Netflix che, spesso, ospitano note celebrità come testimonial di supporto. Questi movimenti mirano alla totale eliminazione della caccia e della zootecnia, che porterebbe al veganismo “istituzionalizzato” e alla fine dello “specismo”, puntando alle giovani generazioni per una svolta sociale. Gli attuali livelli di veganismo sono ancora bassi (1-4%), ma per raggiungere una massa più vasta di persone avverse alla carne si è reso essenziale il coinvolgimento e l’influenza dei responsabili politici: basti pensare alla dieta planetaria semi-vegetariana e progettata dalla Commissione EAT-Lancet e fortemente criticata dai nutrizionisti per il rischio di carenze, oppure all’ingiusta (ed insensata) tassa sulla carne o all’abolizione della carne dai menu e dalle mense scolastiche.

Nello studio sono stati descritti a proposito due scenari estremi: il primo è appunto un modello sociale vegano che auspica la totale abolizione dell’allevamento del bestiame, con il bisogno di riconnettersi alla natura e sentirsi parte di essa. Il secondo scenario comporta invece un profondo ripensamento del modo di allevare gli animali, con un approccio più “olistico” che coinvolge sistemi agro-ecologici e rapporti più armonici tra uomo, animali e ambiente.

Se si realizzasse lo scenario vegano, secondo gli autori, si avrebbero vaste e disastrose implicazioni sull’organizzazione sociale: piuttosto che condurre ad uno stile di vita sano, si rischia infatti che venga monopolizzato da interessi di multinazionali, come succede in realtà già attualmente con società anti-carne come Beyond Meat e Impossible Foods, che porterebbe verso un’alimentazione artificiale, fortemente industrializzata e fatta di prodotti “fake” iper-processati.

Se si realizzasse lo scenario #vegano si avrebbero disastrose implicazioni sociali: più che uno stile di vita sano, si rischia il suo monopolio da parte degli #interessi di alcune #multinazionali.

L’ambiziosa “veganizzazione” della società condurrà quindi a uno scenario alimentare dominato dal nutrizionismo industrializzato ad alta tecnologia, mentre approcci vegani più indipendenti e salutari avranno scarse probabilità di successo in mancanza di supporto finanziario, politico e logistico, con serie difficoltà a nutrire tutta la popolazione mondiale e non saranno probabilmente nemmeno sostenuti dal pubblico.

Una grande trasformazione alimentare con interventi restrittivi porterà non solo a effetti dannosi sulla salute umana, ma anche a una repressione della libertà alimentare e dell’espressione culturale. La rimozione radicale del bestiame dai sistemi alimentari comprometterà e indebolirà i mezzi di sussistenza e lo sviluppo sociale, senza ridurre la sofferenza degli animali, né offrire sicurezza alimentare, né benefici ambientali significativi.

Le sfide nutrizionali future riguardano la fornitura di proteine ​​di alta qualità (valore biologico) e un elenco di micronutrienti e altri composti (ad es. DHA, colina e taurina) che sono presenti solo nella carne e nei prodotti di origine animale o comunque vengono ottenuti più facilmente da essi perché presenti in livelli più alti o con migliore biodisponibilità. La dieta vegana è dunque in questo senso meno robusta e con necessità di fortificazioni, integrazioni e di supervisione medica, fortemente improntata su prodotti malsani ultra-trasformati, fatti di materie prime di bassa qualità, come amidi, olio e isolati proteici di soia.

La dieta #vegan necessita di fortificazioni, #integrazioni e di supervisione medica, fortemente improntata su #prodotti malsani #UltraTrasformati.

Anche riguardo all’impatto ambientale dell’allevamento, gli studiosi spiegano che seppur reale e problematico in alcuni casi può essere ancora ampiamente mitigato, riconoscendo il ruolo fondamentale del pascolo ben gestito nei servizi ecosistemici, nello sviluppo rurale e nella salute, aiutando a preservare habitat di alto valore e la biodiversità, a migliorare il suolo, la crescita della vegetazione e la ritenzione dell’acqua, il riciclo dei nutrienti, il sequestro del carbonio e il benessere animale. D’altro canto, un allevamento più intensivo se ben gestito ha un ruolo importante da svolgere, laddove è in grado di migliorare le rese.

Il potenziale di miglioramento con gli animali in allevamento secondo gli autori è altissimo, con strategie attive come l’agricoltura rigenerativa, il pascolo ben gestito, il recupero degli scarti di cibo, un miglior riciclaggio e integrazione dei rifiuti nella bioeconomia circolare, miglioramento dell’assistenza veterinaria e della salute degli animali. È irragionevole pensare che la zootecnia non sia in grado di offrire una vita dignitosa agli animali e che l’allevamento sia innaturale o vada contro il loro benessere: basta confrontare la vita degli animali ben protetti negli allevamenti con le feroci condizioni in cui si ritrovano vivendo liberi in natura. In allevamento gli animali ricevono cure veterinarie, cibo durante l’inverno e una morte rapida e indolore.

Un #allevamento più #intensivo se ben gestito ha un ruolo importante da svolgere, laddove è in grado di migliorare le #rese.

Non è chiaro in quale direzione si evolverà l’attuale produzione zootecnica, ma gli autori dello studio sono risoluti: è improbabile che una di queste due scenari opposti accada. Il futuro più probabile vede un mosaico di pratiche più comuni, che spaziano tra opzioni “vegetali” e l’allevamento degli animali come parte della soluzione e non al centro del problema, basato su forti principi agro-ecologici. Piuttosto che parlare di totale abolizione dell’allevamento o di drastiche riduzioni della carne dalla nostra dieta, la via più saggia da seguire è quella di fare sempre “più del nostro meglio”.

Anziché abbandonare definitivamente la zootecnia, un’interazione più rispettosa e armonica con gli animali potrebbe far fare molti passi avanti, essere più efficace per soddisfare i vari bisogni di un’umanità globalizzata. La via più promettente per progredire, concludono dunque gli autori, consiste in una combinazione di tutto il meglio ottenuto finora, dalle forme di allevamento più moderne e dai sistemi di pascolo ben gestito, con una maggior attenzione alla prassi bio-circolare, e un approccio molto più attento alle interazioni uomo-animale-terra.

Anziché abbandonare la #zootecnia, un'interazione più rispettosa e armonica con gli #animali sarebbe più efficace per i bisogni di un'umanità globalizzata.

I problemi dell’ambiente, del suolo, della dieta, della salute e del bestiame devono essere affrontati positivamente con l’intenzione di valorizzare, espandersi e innovare. Tale approccio dovrebbe essere aperto e creativo, in cui gli esseri umani e gli animali devono collaborare tutti insieme per la natura piuttosto che contro di essa. “Incolpare il bestiame è una cosa facile e alla moda da fare, quando si ha una visione del mondo utopica e non si pensa alla realtà delle cose”, sottolinea il professor Leroy: “Tali visioni sulla catena alimentare sono generalmente sintomatiche dello Zeitgeist e del modo in cui la società sta attualmente cercando nuove strade per andare avanti. Ma attenzione a non commettere errori: l’abolizione anziché l’ottimizzazione dell’allevamento di animali ci porterebbe ad una situazione decisamente peggiore.”

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